Percorso a cura di Domenico Vitale
Questo percorso racconta l’Europa emersa all’indomani della Seconda guerra mondiale: un continente in macerie, segnato da una parte dall’esperienza nazifascista, dall’altra dal ruolo dominante dei due principali vincitori, Stati Uniti e Unione Sovietica.
Il “lungo dopoguerra” inizia con l’imperativo di ricostruire, ma anche di ridisegnare i nuovi equilibri geopolitici. I trattati di pace di Parigi sono il banco di prova, dopo l’esito funesto di quelli di Versailles di trent’anni prima; in parallelo si agisce sul versante giudiziario, attraverso il processo tenuto a Norimberga contro i crimini del nazismo, mentre altrove – in Italia – si adotta un approccio meno punitivo nei confronti del passato regime. La penisola è però scossa dalla svolta repubblicana, che archivia placidamente l’esperienza monarchica, durante una fase complicata di transizione dal fascismo alla democrazia, sancita dalla promulgazione della Costituzione.
Allo stesso tempo, la Guerra fredda dispiega i suoi meccanismi, ed il timore di una nuova guerra mondiale attanaglia il corpo e le menti degli europei: la crisi di Berlino, la bomba atomica testata dall’Urss, la guerra di Corea. I blocchi si organizzano in alleanze militari: la Nato da una parte, il Patto di Varsavia dall’altro. Il tentativo di costituire un esercito europeo – la Ced – fallisce per mano francese, dopo aver fatto fibrillare molti, spaventati alla prospettiva di un riarmo tedesco. Parma – in questo viaggio – diventa il luogo di osservazione di una critica a questo “nuovo ordine” europeo: le proteste contro la Ceca, la Nato e la Ced, contro i quali si mobilità il partito comunista.
Il 1956 è l’anno cruciale. Tre anni prima si era chiusa l’era staliniana, messa sotto accusa da Chruscev durante il XX congresso: la destalinizzazione – così come verrà chiamata – scuoterà il mondo comunista, scatenando rivolte interne al blocco sovietico, sedate nel sangue. Negli stessi mesi, gli inglesi in accordo con francesi e israeliani intervenivano nella vicenda del Canale di Suez, nazionalizzato dall’Egitto: il tentativo si rivelò fallimentare e rese palese il declino dell’egemonia europea, sopravanzata da quella statunitense. Quattro anni più tardi, nel 1960, la risoluzione 1514 dell’Onu proclamò la necessità di porre fine rapidamente al colonialismo, accelerando il processo di decolonizzazione: l’Europa perdeva il suo impero coloniale, mantenuto nonostante i propositi di libertà e uguaglianza promossi nel dopoguerra, chiudendo così una storia iniziata cinque secoli prima.