1. Berlino, 9 novembre 1989

Il 9 novembre 1989 è diventata la data simbolo della fine della Guerra fredda, il primo atto di una sequela di eventi concatenati che, nel breve volgere di un biennio, avrebbero portato al collasso dei regimi comunisti nei Paesi dell’Est e, infine, al crollo dell’intero blocco orientale. Quel giorno, anzi quella sera, iniziò l’abbattimento del Muro di Berlino, che dal 1961 divideva in due la città e che per ventotto anni aveva rappresentato il segno tangibile di quella “cortina di ferro” che all’indomani della Seconda guerra mondiale era calata sull’Europa.

La caduta del Muro fu, tuttavia, solo l’ultimo passo di una rivoluzione silenziosa in atto già da qualche mese. Già nella primavera del 1989, nella Repubblica democratica tedesca (DDR) era cresciuta una vasta opposizione interna, per decenni repressa dalla Stasi, la polizia politica filosovietica. A fare da catalizzatore – e da luogo di ritrovo tollerato dal regime – di quella che sarebbe diventata una mobilitazione di massa furono le chiese protestanti, in particolare a Lipsia e a Dresda, dove centinaia di persone si riunirono pacificamente invocando l’avvio di un processo di riforme.

Il 2 maggio, mentre Erich Honecker, presidente del Consiglio di Stato della DDR, credeva ancora che il Muro sarebbe rimasto lì «altri cent’anni», l’Ungheria annunciava l’apertura della propria frontiera con l’Austria. Nella città di Hegyeshalom, a circa 70 km da Vienna, il governo ungherese dette, infatti, disposizioni alla guardia nazionale di frontiera di smontare paletti, reticolati ed allarmi posti lungo il confine austriaco, permettendo così un primo esodo verso ovest dei cittadini del blocco orientale. In moltissimi approfittarono di quello squarcio nella cortina di ferro, convinti che a breve sarebbe stato richiuso dalla repressione sovietica. Alla fine di agosto l’Ungheria smantellerà, invece, interamente i 345 km di filo spinato dislocati lungo il confine con l’Austria, assestando un primo colpo mortale alla logica bipolare della Guerra fredda.

In ottobre, Honecker fu costretto alle dimissioni e sostituito alla guida della SED (il Partito Socialista Unificato di Germania) da Egon Krenz, il quale per arginare l’emorragia verso ovest di decine di migliaia di tedeschi orientali attraverso l’Ungheria decise di concedere nuovi permessi per la Repubblica Federale di Germania. Fu in questo contesto che il 6 novembre, di fronte alle pressioni della popolazione e all’incapacità della moribonda nomenklatura della SED di gestire la transizione, venne resa nota la bozza di una nuova legge sui viaggi che liberalizzava l’espatrio per i cittadini della DDR, senza però riconoscere loro il «diritto a ritornare». La mattina del 9 novembre, a seguito di un’ondata di manifestazioni di protesta scoppiate a Lispia, a Berlino e in altre città, la legge fu rivista con l’aggiunta di un apposito regolamento sulle visite: ai tedeschi orientali sarebbe stato rilasciato un visto per i viaggi privati (con il diritto a ritornare nel territorio della DDR) senza condizioni particolari e senza tempi di attesa.

Quello stesso pomeriggio venne organizzata una conferenza stampa in diretta tv per comunicare ai giornalisti stranieri le nuove disposizioni sui viaggi verso ovest e il portavoce della SED, Günter Schabowski, a causa di un malinteso con la dirigenza del Partito, prese prematuramente posizione sul regolamento. Benché fosse stato stabilito di far entrare in vigore la legge solo il giorno successivo, rispondendo ad una domanda rivoltagli dal giornalista italiano Riccardo Ehrman, all’epoca inviato dell’ANSA, Schabowski annunciò erroneamente che i permessi sarebbero stati rilasciati «ab sofort», cioè «da subito, con effetto immediato».

Le sue parole suonarono come un implicito “liberi tutti”. Nelle ore seguenti, decine di migliaia di berlinesi dell’est si riversarono in massa nei pressi del Muro, dove le guardie di frontiera, prive di istruzioni ufficiali, furono costrette ad aprire i check point e consentire loro il passaggio, lasciando che la Storia facesse il suo corso. Ogni divisione tra le due metà della città era ormai venuta meno e da lì a poco anche il Muro sarebbe stato abbattuto a colpi di piccone da quegli stessi uomini e quelle stesse donne che per quasi un trentennio erano stati condannati da esso a una segregazione forzata.

La caduta del Muro di Berlino, quel fatidico 9 novembre 1989, ha segnato una cesura decisiva nella storia europea: mentre il vecchio ordine bipolare, ormai agonizzante, veniva distrutto dalle picconate dei tedeschi orientali, il futuro rimaneva ancora un’incognita. Quella notte la Storia cambiò e la gioia sui volti delle migliaia di manifestanti accorsi sotto il Muro sembrava essere il segno tangibile dell’inizio di una nuova era.

La mattina seguente, tra i tanti che accorsero a Berlino per prendere parte agli eventi memorabili di quei giorni vi fu anche il violoncellista e dissidente sovietico Mstislav Rostropovich, allora residente in Francia. Armato del suo violoncello, Rostropovich si sedette ai piedi del Muro e iniziò a suonare Bach. Il Muro ormai non faceva più paura.