10. Sentilj: la “fortezza Europa”

Dopo l’Ungheria – il primo Paese dell’Unione europea ad erigere un “muro anti-migranti” nell’estate del 2015 – sono stati numerosi gli Stati della Mitteleuropa che, in risposta alla crisi migratoria che all’indomani dell’inasprirsi della guerra civile in Siria ha interessato la cosiddetta “rotta balcanica”, hanno avviato una politica di rafforzamento delle frontiere esterne dell’Unione, con l’obiettivo di contenere e controllare il flusso di rifugiati in arrivo dal Medio Oriente.

I primi Paesi a muoversi in tal senso sono stati, già nell’autunno di quell’anno, l’Austria e la Slovenia. A seguito della chiusura del confine ungherese, l’itinerario seguito dai profughi per entrare in Europa si è infatti spostato più a ovest, investendo la Croazia e la Slovenia. Il governo di Lubiana si è inizialmente dimostrato abbastanza reattivo agli arrivi, organizzando tempestivamente un servizio di trasporto ferroviario che permettesse di attraversare il Paese e trasferire direttamente i profughi al confine con l’Austria.

Nei mesi seguenti, tuttavia, l’aumento costante degli arrivi (quasi 300.000 nel corso del 2015), insieme alle crescenti tensioni diplomatiche con la vicina Croazia, ha spinto il governo del premier Miro Cerar a dare il via alla costruzione di una recinzione di filo spinato che, in un progetto iniziale, avrebbe dovuto interessare solo le zone considerate “sensibili”, ma che in breve tempo è stata estesa all’intera frontiera croato-slovena, per un totale di 550 km di fortificazioni.

L’esempio sloveno è stato poi seguito anche dall’Austria, che nell’estate del 2015 era stato uno dei Paesi capofila dello slogan “refugees welcome”. L’intensificarsi del flusso di rifugiati lungo la rotta balcanica e la conseguente crescita di consensi intorno ai partiti della destra nazionalista hanno determinato un radicale cambio di rotta da parte del governo a guida socialdemocratica del cancelliere Werner Faymann, spingendolo ad erigere una barriera anti-migranti al confine con la Slovenia, la prima a sorgere tra due Paesi aderenti all’“area Schengen”. Nonostante la recinzione si estenda solamente per 3,5 km tra il vecchio valico di Sentilj e il nuovo tratto autostradale, ciò non muta il dato politico del continuo moltiplicarsi in Europa di nuovi muri che sembrano far rivivere un passato non molto lontano nel tempo.

Proprio Sentilj, piccola cittadina di poco più di 8.000 abitanti sul confine tra Austria e Slovenia dove è stato allestito uno dei più importanti campi di transito della rotta balcanica, costituisce un significativo osservatorio delle speranze dei migranti in arrivo in Europa e, nel contempo, del limbo fatto di attese estenuanti, respingimenti e invisibilità in cui i richiedenti asilo sono confinati a causa delle macchinose e inadeguate procedure di protezione internazionale.

Benché il governo di Vienna si sia affrettato, alla vigilia della fortificazione del confine con la Slovenia, a precisare che obiettivo della costruzione del muro sarebbe stato quello di “garantire un ingresso ordinato e controllato nel Paese, non di chiudere la frontiera”, è apparso subito evidente come tale misura si inserisca in un disegno più ampio di blindatura della “fortezza Europa”.

A Sentilj i migranti arrivano per lo più in treno. La maggior parte di loro, scortata dalla polizia slovena, proviene da Dobova, altro importante campo profughi al confine con la Croazia. Sono soprattutto siriani e afghani, ma non mancano anche iraniani, pakistani e bengalesi. A Dobova i richiedenti asilo vengono identificati e schedati, prima di essere rimessi sul treno per Sentilj. Solo in alcuni casi vengono trattenuti per qualche ora nel centro di transito poco fuori la cittadina croata: le procedure di smistamento sono, tuttavia, piuttosto caotiche e inefficienti, tanto che nella confusione molte famiglie vengono divise e si disperdono.

Una volga giunti a Sentilj, per i profughi si ripete lo stesso copione: identificazione, schedatura e poi, in base ai contingentamenti stabiliti dall’Austria, una parte viene immediatamente fatta passare attraverso la frontiera, mentre gli altri sono trattenuti nel campo, vera e propria “terra di nessuno” dove l’attesa prima di riuscire a passare il confine può durare per giorni o anche settimane. Quando il flusso di migranti è più intenso e la capacità di accoglienza del campo supera il limite massimo di 2.500 persone, si ricorre ad un altro campo di appoggio, più piccolo di quello di Sentilj, poco distante da quest’ultimo. Entrambi i campi e tutta la zona circostante sono costantemente presidiati da polizia e militari.

Nell’autunno del 2015, in quel mese di ottobre che ha fatto registrare i picchi più alti nel numero di arrivi dal Medio Oriente (più di 1.500 persone al giorno), nel campo di Sentilj si sono verificati gravissimi scontri tra i richiedenti asilo e le forze dell’ordine. Centinaia di profughi e di migranti, molti dei quali con bambini anche piccolissimi al seguito, dopo ore di attesa al freddo e sotto la pioggia, hanno sfondato le barriere metalliche posizionate dai militari austriaci lungo il confine. La situazione si è poi calmata quando, a piccoli gruppi, è stato loro consentito di entrare in Austria. Ma nelle settimane seguenti gli scontri sono proseguiti, con quotidiane calche alle frontiere e frequenti momenti di tensione, che hanno spinto il governo di Lubiana a chiedere più fondi all’Unione Europea per potenziare l’esercito, la polizia e la protezione civile.

Soprattutto, sono proseguiti i rimpalli di responsabilità con la Croazia, accusata di dirottare in maniera incontrollata i migranti al confine con la Slovenia, dove il governo, in forte difficoltà nella gestione degli arrivi e nell’organizzazione dell’accoglienza, è finito nel mirino delle organizzazioni non governative che hanno minacciato di denunciare il Paese al Tribunale europeo per i diritti dell’uomo per le condizioni in cui i migranti sono costretti ad accamparsi alla frontiera.

Intanto, anche l’attenzione dell’opinione pubblica nei confronti della questione sembra progressivamente scemare. I telegiornali, che nei mesi più “caldi” della crisi migratoria hanno dedicato ampi spazi all’emergenza nei Balcani, hanno pian piano ritirato i propri inviati sul campo e hanno smesso di trasmettere servizi e reportage dal confine austro-sloveno. Di fronte all’irrompere sulla scena mediatica di nuove e più urgenti questioni, i profughi che ogni giorno percorrono la rotta balcanica, attraversando a piedi in lunghe colonne le campagne croate e slovene in direzione dell’Austria, sono tornati ad essere invisibili.

“Rotta balcanica: la situazione al confine tra Slovenia e Austria” (servizio di Radio Rai3, con un racconto in diretta da Sentilj di Stefano Lusa, giornalista di Radio Capodistria e corrispondente di Osservatorio Balcani e Caucaso – 28 ottobre 2015):

https://www.balcanicaucaso.org/Media/Multimedia/Rotta-balcanica-la-situazione-al-confine-tra-Slovenia-e-Austria

“Slovenia: la marcia dei migranti ripresa dal drone” (video pubblicato da Huffington Post – 28 ottobre 2015):

https://www.huffingtonpost.it/2015/10/28/slovenia-migranti-austria-alza-muro_n_8405244.html

“Arrivo di migranti in treno a Sentilj” (video pubblicato da MeltingPot Europa – 11 novembre 2015): https://www.youtube.com/watch?v=LsDRtJPeMN8&t=13s

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