L’incidente di Chernobyl avvenne nella notte tra il 25 e il 26 aprile del 1986: durante un test di sicurezza notturno il reattore n. 4 della centrale nucleare esplose, portando alla morte istantanea di 31 persone e a gravi conseguenze su medio e lungo termine per lavoratori e abitanti delle zone contaminate dalle radiazioni.
Un evento anticipatore era stato l’incidente del 1979 a Three Miles Island, località sita a pochi chilometri dalla capitale della Pennsylvania, dove il malfunzionamento di una centrale aveva portato al rilascio di sostanze radioattive nell’ambiente. Tuttavia l’assai minor gravità dell’incidente (in questo caso non si ebbe nessun morto nell’immediato) e la maggior lontananza geografica determinarono in Europa ripercussioni notevolmente inferiori rispetto al disastro di Chernobyl, che ebbe in primo luogo l’effetto di esplicitare la sconfitta della pianificazione nucleare portata avanti da Breznev. É infatti necessario ricordare che la località di Chernobyl, ubicata all’attuale confine tra Ucraina e Bielorussia, era allora parte dell’Urss di Gorbacev, salito al potere nel 1985. La crisi che Gorbacev dovette fronteggiare, guidando il processo di transizione che avrebbe portato alla dissoluzione dell’Unione sovietica, fu sicuramente acuita dal disastro nucleare, che svelò la fragilità della politica sovietica anche nella gestione delle conseguenze a della contaminazione. Da una parte infatti ci furono notevoli ritardi nella comunicazione dell’incidente, in seconda istanza la sua pericolosità venne nell’immediato colpevolmente minimizzata.
Nei giorni successivi al 26 aprile si registrò una preoccupazione crescente in Europa, con il conseguente avvio di una serie di misure varate dai diversi governi, volte prevenire l’esposizione della popolazione alla radioattività. I venti avevano infatti sospinto verso occidente la nube tossica sprigionata dall’esplosione, e in poco tempo erano stati registrate percentuali radioattive superiori alla norma in alcuni alimenti, quali ad esempio il latte prodotto dal bestiame che si alimentato con erba contaminata. A dieci anni da Seveso (link alla tappa) un altro incidente industriale mostrava all’opinione pubblica internazionale che la nocività della fabbrica non era confinabile dentro le mura degli stabilimenti, risolvibile pertanto attraverso la contrattazione tra lavoratori e capi d’azienda, ma investiva i territori e la cittadinanza nel suo insieme.
Nel 1986 i movimenti antinucleari (link alla tappa) italiani ed europei, l’associazionismo ambientalista e i Partiti verdi (link alla tappa) ebbero un ruolo importante nel diffondere dati scientifici circa la gravità della contaminazione. In Italia, in particolare, essi si contrapposero all’impreparazione delle istituzioni facendosi promotori di una comunicazione efficace, capillare e documentata, giungendo così alla storica vittoria del referendum antinucleare nel 1987, tanto più significativa se si pensa che tanto la Democrazia cristiana quanto il Partito comunista si fecero sostenitori dell’uso civile del nucleare. Quell’anno metteva sostanzialmente fine alla breve esperienza nucleare italiana, ancora attuali sono invece i problemi concernenti lo stoccaggio di scorie nucleari ancora presenti nella penisola.
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