Uniti nella diversità. L’Unione Europea: i popoli, i Trattati, la cittadinanza.

Percorso a cura di Francesco De Vanna

L’Unione Europea è un potere pubblico “sui generis”: non è uno Stato, e non è neanche una federazione di Stati; essa costituisce un unicum nel panorama dei poteri sovranazionali ed è, innanzitutto, una unione di Stati e di popoli.

Il percorso di integrazione sovranazionale europea ha radici antiche, di natura politica, sociale, filosofica, economica e culturale: esso è un progetto di ‘autonomia’ politica non solo oltre gli stati ma anche oltre i nazionalismi che hanno caratterizzato l’Europa nel corso della storia.

Il processo verso l’attuale Unione Europea (cui aderiscono, ad oggi, 27 Paesi) è stato graduale, per tappe, e non scevro di “crisi” e momenti di stallo apparentemente insuperabili.

Nell’estate del 1941 viene redatto tra i confinati antifascisti il Manifesto di Ventotene, firmato da Altiero Spinelli, Eugenio Colorni e Ernesto Rossi, ai quali interessava l’idea politica di Europa: l’obiettivo era quello di creare in Europa uno Stato federale sul modello di quello americano.

Nel 1949, poi, tre importanti esponenti politici, il Primo Ministro tedesco Konrad Adenauer, quello italiano Alcide De Gasperi e il Ministro degli Esteri francese Robert Schuman, vollero credere in questo progetto, lavorando ad un’idea basilare di unità europea.

Tale processo prende le mosse con la Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 e la firma del Trattato di Parigi che nel 1951 istituì la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca) fra Belgio, Francia, Repubblica Federale Tedesca, Italia, Lussemburgo e i Paesi Bassi (i sei Paesi fondatori).

Per la prima volta nella storia, il disegno dell’integrazione si è fondato sulla volontà e sul ‘consenso’ piuttosto che sulla ‘forza’. Come insegna il giurista J.J.H. Weiler quello europeo è un processo di integrazione fondato sul principio di “tolleranza costituzionale”: il rispetto delle diverse identità nazionali è scritto chiaramente nei Trattati, che si ripropongono di unire i ‘popoli’ europei, e non di creare un solo demos. La chiave degli ordinamenti compositi sta nelle “competing aspirations towards unity and diversity”.

La globalizzazione ha prodotto una nuova “divisione del lavoro” tra partecipazione democratica, competenze degli Stati, poteri sovranazionali: in sostanza si è spezzata la tradizionale “catena di comando” degli stati nazionali e delle democrazie politiche. Oggi, pertanto, la realtà si presenta paradossale: se abbiamo qualche capacità di decidere sul destino degli stati nazionali è attraverso l’Europa, quasi mai attraverso i singoli Paesi (si pensi ai temi delle migrazioni internazionali o alla lotta al cambiamento climatico, solo per fare alcuni esempi). L’interazione democratica tra Stati-nazione e istituzioni comuni (Parlamento, Commissione, Consiglio) è stata la chiave dell’evoluzione della Ue: sostanzialmente questo è stato il modo originale in cui l’Europa ha superato il nazionalismo vecchio stile, sebbene nuovi nazionalismi – diversi rispetto a quelli che abbiamo conosciuto nella storia – sembrano affacciarsi sulla scena. La democrazia del futuro dovrà essere in grado di coniugare il suo radicamento nello Stato-nazione e il progressivo trasferimento di poteri verso decision-makers ‘esterni’, non-nazionali ma trans-nazionali.

Dopo una serie di ingressi di paesi dell’ex est europeo comunista (dal 2007 al 2013), oggi l’Unione europea conta 27 Stati (erano 28 prima della Brexit) e lascia intendere che probabilmente si espanderà ancora nei prossimi anni accogliendo al suo interno Paesi come l’Islanda, la Serbia, l’Albania e il Montenegro.