Se oggi, oltre ad essere cittadine e cittadini italiani, siamo anche cittadine e cittadini europei, e se utilizziamo una moneta comune – l’euro – lo dobbiamo in prima battuta al Trattato sull’Unione Europea, firmato dai rappresentanti dei 12 Paesi membri a Maastricht, in Olanda, il 7 febbraio 1992.
Quella che fino ad allora era stata comunemente indicata come Cee (Comunità Economica Europea) diventa Unione europea (Ue). Da questo punto di vista il Trattato di Maastricht – entrato in vigore il Primo novembre 1993 – ha rappresentato una svolta qualitativa nel processo d’integrazione comunitaria. Due sono gli esiti di questo ulteriore passo avanti, e sono due “simboli” strettamente connessi alla tradizionale idea di sovranità: la moneta e la cittadinanza.
Dopo Maastricht, l’Unione si sarebbe basata su tre pilastri: il primo, quella della Comunità Europea (CE), inglobava le tre Comunità precedenti – la CEE, la Ceca e la CEEA (o Euratom) – il secondo la politica estera e di sicurezza comune (PESC), il terzo la politica di cooperazione in materia di polizia e di giustizia (CGAI). Nasceva così una politica estera europea, per preservare la protezione internazionale e consolidare la democrazia e i diritti ad essa connessi, e una cooperazione nell’ambito degli affari interni che prevedeva l’introduzione di controlli alla frontiera e una politica comune in materia di asilo.
I pilastri si differenziano in base al metodo di funzionamento: il primo pilastro è governato dal metodo comunitario, mentre il secondo e il terzo sono regolati dal modello intergovernativo. I tre pilastri condividono un quadro istituzionale unico: le istituzioni comunitarie operano nell’ambito di tutti i pilastri, tuttavia esercitano ruoli differenziati a seconda del pilastro in cui sono chiamate ad operare. In ambito comunitario, il Trattato sull’Unione Europea – poi parzialmente modificato ad Amsterdam, nel 1997 – introduce l’Unione Economica e Monetaria (UEM) come consolidamento della cooperazione da realizzare con la piena liberalizzazione del mercato dei capitali e soprattutto con l’introduzione di una moneta unica. Ancora oggi, il Trattato è evocato anche in relazione ai parametri economici (o “criteri di convergenza”) che sono stati adottati a Maastricht e che tutti gli Stati devono rispettare per salvaguardare il valore dell’euro.
I parametri di Maastricht servivano dapprima a stabilire quali fossero le economie “sane” e quali no, sulla base di cinque criteri. Il primo riguardava la stabilità dei prezzi, il secondo e il terzo si concentravano sulla situazione delle finanze pubbliche: il deficit (ovvero la differenza tra quanto incassato e quanto speso da uno Stato nel corso di un anno) non doveva essere superiore al 3% del Prodotto interno lordo; il debito pubblico , invece, non doveva superare il 60% del Pil. Infine, altri due criteri erano legati al tasso di cambio e ai tassi di interesse sul lungo periodo.
L’euro è introdotto nel 1999 e da quel momento la Banca Centrale Europea (BCE) inizia a condurre una politica monetaria comune per l’insieme della zona euro. All’inizio del 2002 l’euro diventa anche la moneta di scambio e rapidamente si impone diventando il mezzo di pagamento ufficiale in tutti i “vecchi Stati” membri dell’UE, ad eccezione di Regno Unito, Danimarca e Svezia. Tra gli Stati che aderiscono all’Unione europea nel 2004, la Slovenia è la prima a soddisfare i criteri di convergenza e a entrare così nel 2007 nella zona euro, seguita da Cipro e Malta nel 2008, dalla Slovacchia nel 2009, dall’Estonia nel 2011, dalla Lettonia nel 2014 e dalla Lituania nel 2015. La zona euro annovera attualmente 19 Stati.
Negli anni compresi tra il 2010 e il 2015 gli Stati con un elevato debito pubblico – Italia compresa – sono stati penalizzati dai mercati con tassi di interesse molto alti sui titoli del debito pubblico, rendendo particolarmente gravoso il ricorso all’indebitamento e mettendo quindi a repentaglio la tenuta delle politiche sociali. La crisi finanziaria del 2008 e, ancor di più, la pandemia, hanno reso palesi gli enormi limiti dei parametri di Maastricht, in nome dei quali sono stati chiesti grandi sacrifici soprattutto alle economie del Sud Europa, dopo il terremoto originato dai “mutui subprime” e la crisi dei “debiti sovrani”. Il caso della Grecia, in questo senso, è stato emblematico ed è una ferita profonda che ancora oggi fa discutere.
Maastricht ha segnato comunque il coronamento di diversi decenni di dibattito sul rafforzamento della cooperazione economica in Europa: una cittadina di medie dimensioni dei Paesi Bassi – in un territorio di confine tradizionalmente teatro di attriti, scontri e conflitti – diviene la sede di un trattato storico.
Maastricht, il ponte più antico di Olanda (fonte: www.holland.com)
Nel 1992 il muro di Berlino è caduto da qualche anno e la guerra fredda conclusa, la Germania guarda con speranza alla sua riunificazione, gli equilibri politici ed economici dell’occidente stanno mutando radicalmente e anche la società del tempo sta cambiando repentinamente. La dissoluzione dell’impero sovietico induce l’Europa a scegliere tra la logica dell’ “equilibrio delle potenze” e un più forte progetto di cooperazione politica tra gli stati.
Mentre si accelera sulla strada dell’unificazione delle “due Germanie”, i grandi esponenti delle istituzioni comunitarie (in primis Jacques Delors, che era a capo della Commissione europea) mettono a punto un processo di integrazione economica “per tappe” – già delineato con l’Atto Unico Europeo – che renda irreversibile anche l’integrazione politica.
La cittadinanza europea, introdotta peraltro per incorporare valori diversi rispetto a quelli del mercato (la “quattro libertà”), ha carattere ‘derivato’ e ‘riflesso’ rispetto a quella nazionale, nel senso che la si acquista come conseguenza della titolarità della cittadinanza nazionale.
Ai singoli viene dunque attribuito un nuovo status giuridico, distinto dalle loro rispettive cittadinanze europee (circostanza, questa, che non era chiara nei Trattati precedenti): una condizione giuridica comune a tutti i cittadini europei che – pur non cancellando l’idea stessa di nazione e la sua potenza simbolica, e dunque senza neutralizzare le differenze – ha innescato un processo graduale di declino della nazionalità quale (esclusivo) criterio giuridicamente rilevante.
Il contenuto più importante di questo nuovo status era sicuramente rappresentato dalla libertà di circolazione, della quale la Corte di Giustizia aveva difeso il contenuto ‘politico’, sancendo la libera circolazione anche a favore di soggetti non qualificabili come “lavoratori”.
Le disposizioni finali del Trattato prevedevano, tra l’altro, l’indizione di una conferenza intergovernativa (CGI) con lo scopo di apportare allo stesso Trattato le eventuali modifiche che si potevano rendere necessarie dopo una fase di prima applicazione. Da questa disposizione è scaturito il trattato di Amsterdam, ratificato dai 15 Stati membri, all’epoca aderenti, ed entrato in vigore il 1 maggio 1999.
Sitografia:
Banca d’Italia, “L’Unione Economica e Monetaria”:
Linkiesta, “L’Europa del futuro. Il Trattato di Maastricht, trent’anni dopo”, di Pier Virgilio Dastoli:
https://www.linkiesta.it/2022/02/trattato-maastricht-unione-europea-trenta-anni-1992/
Apice Europa, “Il trattato di Maastricht ha trent’anni”, di Franco Chittolina:
https://www.apiceuropa.com/il-trattato-di-maastricht-ha-trentanni/