Dal primo al tre di giugno del 1955 si svolse una importante conferenza intergovernativa che assunse il nome dalla città che ne ospitò i lavori: Messina. Essa fu convocata per rilanciare il cammino europeo mediante un più chiaro approccio ‘funzionalista’, a partire dalla dimensione economica: l’integrazione politica si sarebbe realizzata innanzitutto attraverso la messa “in rete” delle funzioni economiche, e in particolare mediante la liberalizzazione del mercato. Veniva così accantonato, almeno in parte, l’approccio ‘federalista’. L’anno precedente, infatti, naufragò il progetto della CED (Comunità Europea di Difesa) a seguito della bocciatura da parte dell’Assemblea nazionale francese del 30 agosto 1954: il processo di decolonizzazione da un lato, e il riarmo tedesco dall’altro, avevano innescato anche in Francia una serie di perplessità e di mutamenti, non solo politici, che indebolirono la spinta europeista generata dalla Dichiarazione Schuman.
Uno degli esiti della Conferenza di Messina fu quello di incaricare un gruppo di esperti che elaborasse i testi dei nuovi trattati al fine di addivenire alla “creazione di un’organizzazione comune per lo sviluppo pacifico dell’energia atomica e l’istituzione di un mercato comune da realizzare per tappe mediante la riduzione progressiva delle limitazioni quantitative e l’unificazione dei regimi doganali”. Il coordinamento politico del Comitato fu affidato al Ministro degli Esteri belga Paul-Henri Spaak, un “lucido visionario”, strenuo difensore e pioniere dell’idea di Europa.
Fu così che il 25 marzo del 1957, a Roma, nel salone degli Orazi e dei Curazi del Palazzo dei Conservatori del Campidoglio, i rappresentanti di Francia, Germania Ovest, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo firmano i trattati istitutivi della Comunità Europea dell’Energia Atomica (CEEA, o EURATOM) e della Comunità Economica Europea (CEE), ossia l’atto di nascita della grande famiglia europea, la stessa che oggi chiamiamo Unione.
Nel preambolo del Trattato CEE i firmatari si dichiarano “determinati a porre le fondamenta di un’unione sempre più stretta fra i popoli europei”. Fu un momento molto importante: i due importanti accordi furono siglati, per l’Italia, dal Presidente del Consiglio Antonio Segni e dal Ministro degli Esteri Gaetano Martino, uno dei grandi registi della Conferenza di Messina e del piano di rilancio (nel 1962 sarà eletto Presidente dell’Assemblea parlamentare).
Individuato nello sviluppo economico il motore del consenso e dell’ interesse comune, la Comunità si apprestava finalmente a compiere passi concreti in tema di liberalizzazione degli scambi commerciali, di coordinamento della produzione, di politiche comuni, accettando la prospettiva concreta di condividere alcune istituzioni comuni.
Il provvedimento più importante previsto nel Trattato fu l’eliminazione dei dazi doganali fra gli stati membri, cosa che consentì la creazione del cosiddetto “mercato unico” e fu la base per la successiva unità politica: di fatto, con i Trattati di Roma si consacrava la volontà politica dell’Europa di superare le resistenze nazionali e di dare sostanza all’integrazione.
Il secondo trattato, quello Euratom (ancora vigente), aveva invece come scopo quello di coordinare i programmi di ricerca degli stati membri sull’energia nucleare e assicurare che non fosse utilizzata a scopi militari.
I Trattati di Roma, come saranno comunemente chiamati, non sostituiscono ma si aggiungono alla preesistente Comunità Europa del Carbone e dell’Acciaio (CECA). Dal punto di vista strutturale, le tre Comunità (la CECA, la CEE ed Euratom) ebbero istituzioni solo in parte separate: in particolare, erano comuni, la Corte di Giustizia e l’Assemblea. L’ Alta Autorità CECA e le due Commissioni CEE ed Euratom, invece, restavano separate.
Fra le altre istituzioni, un ruolo decisivo spetta alla Corte di Giustizia, alla quale si è affiancato dal 1988 il Tribunale di primo grado. La Corte, che ha sede a Lussemburgo (e che non deve essere confusa con la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha sede a Strasburgo), detiene competenze rilevanti, la più importante delle quali è connessa all’istituto del rinvio pregiudiziale. Poiché consente di innescare un dialogo tra i giudici nazionali e i giudici europei, il rinvio è stato, ed è tuttora, la pietra angolare della Corte di Giustizia: in sostanza, ogni volta che un giudice nazionale ravvisi, nel suo ordinamento, una norma potenzialmente incompatibile con i Trattati, può interrogare la Corte sull’interpretazione corretta e sulla validità della norma comunitaria. Esso è, dunque, un rinvio dal giudice nazionale al giudice comunitario: in questo modo si garantisce l’applicazione omogenea del diritto europeo.
Negli anni, tramite un’interpretazione evolutiva del Trattato, la Corte ha rappresentato un elemento di sviluppo fondamentale del processo di integrazione comunitaria, vincendo in molti casi le resistenze delle Corti nazionali, che hanno difeso a lungo alcune prerogative ‘sovrane’ degli Stati nazionali. È anche grazie ai giudici di Lussemburgo se ora ordinamenti nazionali e ordinamento europeo sono parte di uno stesso sistema giuridico e politico: è quella che è spesso indicata come “integrazione mediante il diritto”.
Sitografia:
La firma dei Trattati di Roma (Rai Cultura)
https://www.raicultura.it/webdoc/trattati-di-roma/index.html#intro
I Trattati di Roma.
1) https://www.politicheeuropee.gov.it/it/normativa/approfondimenti-normativa/trattati-di-roma/
2) https://www.dizie.eu/dizionario/trattati-di-roma/
3) https://www.ilpost.it/2017/03/25/trattati-di-roma-cosa-sono/