Il fascismo come costruttore di un’Europa Unita. Oggi queste parole ci suonano in modo molto strano, perché siamo abituati a vedere il concetto dell’unità europea come principio che scaturisce dagli ideali democratici. Vediamo come in contraddizione un’Europa unita con un’Europa fascista.
Ebbene, non era così per i fascisti, che durante il Ventennio e ancora durante la guerra insistettero molto, anche sul piano della propaganda, sulla necessità di costruire un’Europa Unita, fascista, naturalmente basata sulla «pace» e sulla «giustizia».
Per capire meglio le riflessioni e lo sguardo dei fascisti all’unità europea prenderemo come spunto un piccolo libretto, uscito a guerra in corso, nel 1942, e scritto da Ezio M. Gray (deputato fascista, classe 1885). Il titolo è Il Fascismo e l’Europa (Gray E.M., Il Fascismo e l’Europa. Dopo vent’anni, a cura del P.N.F., Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo, s.l., s.d. [1942]).
Così scrive Gray nelle pagine iniziali del suo libro:
“Nel periodo che corre tra il 1915 e oggi [1942, Ndr] il DUCE, pure agendo in rappresentanza ideale e pratica degli interessi italiani, li armonizzò – talvolta persino sacrificalmente – con gli interessi europei; cioè mai disgiunse la causa italiana dalla causa del Continente al quale l’Italia appartiene e non deve mai dimenticare di appartenere. Anzi, prima nella ideazione, poi – assunto il potere – nella diretta attuazione, Egli pose il diritto e la forza dell’Italia al servizio della causa europea: diciamo meglio, alla direzione della causa europea. Ciò significa che quando oggi si definisce la guerra dell’Asse e dei suoi alleati come guerra di difesa dell’Europa, è legittimo e doveroso riconoscere nel DUCE, con precedenza assoluta su qualunque altro, il divinatore, l’annunziatore e il difensore della causa dell’ordine della libertà e della giustizia nel nostro Continente: quanto dire della causa dell’unità europea. Il che porta – ecco il nostro assunto – a stabilire che la Rivoluzione fascista, pur essendo stata nella sua prima espressione, una Rivoluzione nazionale, in realtà fin da quel suo primo esprimersi presuppose se stessa come la Rivoluzione universale unitaria e costruttiva che i popoli delusi e inquieti del dopo guerra invocavano per averne la indipendenza di vita e la convivenza secondo giustizia delle quali le Democrazie con scaltrezza e violenza li avevano defraudati” (Gray, Il fascismo e l’Europa, pp. 7-8).
Insomma, il duce come precursore dell’idea di unità europea. Armonizzando gli interessi italiani con quelli europei, e mantenendo unito l’orizzonte italiano con quello del continente, Mussolini ha fatto dell’Italia una potenza al servizio della «causa europea». Infatti, la guerra che l’Asse sta combattendo è un conflitto di difesa dell’Europa: difendere la libertà, l’ordine, la giustizia dalle minacce delle demo-plutocrazie, dal bolscevismo e dall’ebraismo.
Quello che ha compiuto Mussolini, come racconta Gray, non è stato altro che dare a tutti quei popoli «delusi e inquieti» una meta a cui guardare per rifondare l’Europa secondo giustizia e pace, aspetti che le potenze democratiche avevano subordinato ai propri interessi.
È molto interessante che Gray ponga l’accento su una sorta di internazionalizzazione del fascismo, cioè come ad una «Idea» di cui l’Italia ha il primato, ma che è rivolta a tutti. Qualche pagina dopo l’autore del libretto approfondisce questo aspetto, ricordando come la potenza dell’Europa sia nata, sì, a Roma, ma che abbia ricevuto dagli altri popoli nuove forze per rimanere il punto di riferimento per il mondo:
“Se cerchiamo di comporre nella nostra mente il quadro della civiltà alla quale apparteniamo, della quale viviamo e della cui morte sentiamo che moriremmo, fermo restando che di tale civiltà Roma è la prima matrice insostituibile e il primo superato magistero […] subito dopo, di secolo in secolo, pur nel primeggiare costante dell’Italia sulle altre nazioni, male riusciamo a distinguere quale tra esse abbia più donato e quale più abbia ricevuto del patrimonio formidabile e radioso che si chiama la civiltà europea” (Gray, Il fascismo e l’Europa, p. 29).
Secondo Gray fu Mussolini l’uomo che riuscì a capire prima e meglio di altri il pericolo che l’Europa stava attraversando dopo la Grande Guerra. Il continente era diventato una «enorme macina girata da schiavi incatenati a profitto dei barattieri demoplutocratici» (Gray, Il fascismo e l’Europa, p. 14). Infatti, la Prima guerra mondiale era stato un enorme fallimento delle democrazie: volevano ottenere la giustizia e hanno gettato invece il continente nell’ingiustizia: «non soltanto aveva maggiormente sconvolto, frazionato e disperso le più logiche entità etniche e storiche, ma aveva immobilizzato l’Europa, armatissima e sospettosa, in almeno due raggruppamenti rendendoli inconciliabili attraverso una draconiana, quasi biblica distinzione tra eletti e reprobi, tra padroni e schiavi» (Gray, Il fascismo e l’Europa, p. 18).
Dunque, un’Europa spezzata e diffidente era quella del 1919, l’anno in cui nacque il fascismo, guidato da Mussolini. Il Duce, partendo dalla consapevolezza dello stato miserabile del continente ha iniziato contro tutti «con lealtà di gioco e con tranquilla potenza di volontà l’opera di revisione e di ricostruzione che deve sboccare nell’unità del Continente» (Gray, Il fascismo e l’Europa, p. 14). La vera guerra da combattere è quella contro il bolscevismo, l’ebraismo e le demoplutocrazie (forze, secondo la propaganda fascista profondamente e intimamente interconnesse) e che hanno distrutto la coscienza spirituale europea e minato la solidarietà tra le nazioni, per meglio seguire i propri interessi e soggiogare i popoli. Anche la Società delle Nazioni, «sorta sotto il segno infausto della abulia demenziale e della ignoranza enciclopedica di Wilson, era un indisturbabile feudo del sinedrio versagliese» (Gray, Il fascismo e l’Europa, p. 43).
Quindi, alla fine, qual è lo scopo della guerra che il fascismo, insieme al nazionalsocialismo, sta combattendo?
“L’Italia vuole e deve conquistare nel controllo e nella ripartizione delle materie prime e nella delimitazione delle zone di espansione e influenza il posto che le spetta in linea di diritto e di capacità, basta però ricordare che di questa conquista noi riconosciamo il diritto parallelo e proporzionale anche agli altri popoli della comunità europea e poi, globalmente, allo stesso Continente in confronto agli altri Continenti, basta ciò, dico, per comprendere che, così pensando e agendo, noi già scavalchiamo i ristretti termini della «nostra» lotta per l’esistenza per ascendere anche sul terreno economico (sottolineiamo «anche») a quel concetto di giustizia «per tutti» che è stato costantemente affermato dalla parola del DUCE e riflesso impeccabilmente in ogni suo atto di politica «europea»” (Gray, Il fascismo e l’Europa, p. 24).
E ancora:
“Ci battiamo per l’unità dell’Europa in quanto, coincidendo essa con la difesa della nostra civiltà, comprenderà nella vittoria la risoluzione gerarchica ed armonica dei subordinati problemi di convivenza politica ed economica: quanto dire della pace con giustizia per tutti i popoli del Continente” (Gray, Il fascismo e l’Europa, p. 50).
Dunque, ricreare spazi economici costruiti secondo «giustizia» per tutti i popoli e allo stesso tempo per la «difesa della nostra civiltà», minacciata dal pericolo bolscevico e dal complotto giudaico che vogliono governare il mondo soggiogando tutti i popoli. Un concetto ribadito da Gray in chiusura della sua esposizione e che vuole ricordare al lettore i motivi per cui bisogna continuare a credere nella vittoria dell’Asse:
“A noi basti la certezza incrollabile che bisognava batterci per salvarci; che bisognava vincere per spazzar via dall’augusto corpo dell’Europa i suoi nemici, i suoi negatori e i suoi disertori; che meritiamo di vincere e vinceremo in quanto […] ci battiamo perché, consacrati i diritti delle varie Nazioni in una gerarchia di giustizia, esse acquistino «nazionalmente», di fronte al resto del mondo, la fede e l’orgoglio – cioè la coscienza – di partecipare ad una formazione imperiale europea dove l’Unità, propugnata dal DUCE, presieda ai diritti e ai doveri delle nazioni comprese nelle rispettive complementari comunità imperiali” (Gray, Il fascismo e l’Europa, p. 104).
Tante riflessioni potrebbero emergere da quanto abbiamo letto dal libretto di Gray e, più in generale, dall’intera propaganda della guerra fascista.
Innanzitutto, che il fascismo guardasse ad un’Europa diversa è chiaro anche solo guardando alla politica estera di Mussolini negli anni Trenta. La guerra d’Etiopia e la creazione dell’Impero, la guerra di Spagna, l’occupazione dell’Albania e così via, fanno emergere che era negli obiettivi della «Rivoluzione fascista» la riprogettazione dell’assetto continentale scaturito dal Versailles nel 1919. Che questa rimessa in discussione fosse indirizzata ad una unità europea è innegabile, se però si sottolinea che tipo di unità europea si voleva costruire all’ombra del fascio littorio. Non certo un’Europa democratica o dove la libertà dei singoli fosse messa al centro. Bensì un’Europa dove fosse imprescindibile la libertà dei popoli fascisti che, avendone diritto tramite la forza e grazie alla storia alle loro spalle (la civiltà di cui erano eredi e portatori), dovevano ridisegnare il futuro del Continente. In questo senso va letto l’invito a pensare ad un’Europa secondo «giustizia» che Gray pone al lettore.
Un altro aspetto molto interessante è che Gray scrive nel 1942. E in particolare verso la fine dell’anno. In quel momento l’Asse è in grave difficoltà in Nord Africa (nel maggio successivo la perderà completamente); le truppe tedesche sono chiuse nella sacca a Stalingrado e gli italiani in Russia hanno iniziato la ritirata; i sottomarini tedeschi in Atlantico non hanno più capacità offensiva e ogni giorno l’Europa viene bombardata dagli Alleati.
In quella fine del 1942 si riusciva già ad intuire che la strada per la vittoria per Germania e Italia era tutta in salita. Diventa interessante allora notare come Gray insista molto su un racconto della guerra come «difesa» dai nemici secolari del continente (ebrei, demo-plutocrazie, bolscevichi). Intende dare una visione dove l’Asse non è l’aggressore verso gli altri Paesi, ma bensì il vero e unico difensore della civiltà europea. Un modo per distogliere lo sguardo sul fatto che quella guerra che stava mietendo milioni di vite era stata scatenata dalle truppe germaniche e che l’esercito italiano contribuiva ad estendere.
Ma in ogni caso, se la guerra fosse stata vinta dall’Asse, ci sarebbe stata senz’altro una Unione Europea. Una Unione dove parole come “giustizia”, “pace”, “libertà” avrebbero riempito interi discorsi di politici e gerarchi, svuotate però del loro senso e riempite di un altro. Dove la persona non avrebbe contato di per sé e in quanto tale, ma come membro di un popolo e di uno Stato (tedesco e italiano) a cui bisogna dare tutto perché primeggiasse sugli altri.
- L’incontro a Monaco tra il Duce e il Führer, data: 25/06/1940
- Celebrazione del ventennale della Milizia alla presenza del Duce, data: 04/02/1943