Abbiamo dato uno sguardo all’idea di Europa che fascismo e nazionalsocialismo intendevano costruire. Ma l’idea del nuovo continente che il fascio littorio e la svastica volevano dominare si comprende molto bene ponendo al centro un aspetto particolare: l’educazione delle nuove generazioni che i due totalitarismi avevano programmato.
Ovvero, con l’educazione profondamente controllata, la militarizzazione delle nuove generazioni, un culto ossessivo per la persona del Duce o del Führer, Italia e Germania volevano costruire nuove generazioni di perfetti fascisti e nazisti, i lavoratori e i soldati di domani. Concetto ribadito a Vienna, tra il 14 e il 18 settembre 1942 durante la grande riunione di molte delegazioni di gioventù “fasciste” provenienti da tutta Europa e riunione nella Lega Giovanile Europea.
Irreggimentati in un nuovo tipo di gioventù (Opera Nazionale Balilla e Gioventù Italiana del Littorio e Hitlerjugend) che circondava quasi tutta l’esistenza dei giovani dai 6 ai 21 anni i giovani cresciuti nei due Paesi dell’Asse avrebbero dovuto diventare pietre fondanti del Nuovo Ordine Europeo.
Infatti, come affermò Mussolini nell’agosto 1933:
“Niente permette di credere o di far credere che i giovani divenuti classe dirigente degli Stati fascisti – cioè autoritari unitari totalitari – turberanno la pace; si può prevedere che essi l’assicureranno all’Europa e al mondo. Comunque niente di più interessante e drammatico di questo tramonto di una civiltà che – fra molti errori, dispersioni, massacri – ha lasciato un’orma profonda; niente di più augurale e fascinatore dell’aurora di una nuova civiltà” (Mussolini, Popolo d’Italia, 22 agosto 1933).
Costruire una nuova civiltà era uno degli obiettivi principali del fascismo e del nazionalsocialismo. E per far ciò forgiare una nuova generazione di giovani pronti a darsi completamente alla Patria era imprescindibile. Ricordiamo qual è il motto della Gioventù Italiana del Littorio (1937): Credere, Obbedire, Combattere.
Nell’ottica fascista Credere significa avere fede nell’Idea fascista. Non si approda al fascismo secondo un ragionamento razionale o in seguito ad una riflessione profonda. Si arriva al fascismo per fede, fede nella Patria, nel Duce e nella forza del fascismo il cui obiettivo è di rendere grande l’Italia. Obbedire significa non porre alcun limite alla propria dedizione al duce (detentore della sacra fiamma della fede fascista e l’uomo che ha fatto grande il destino d’Italia). Significa essere un lavoratore in tempo di pace per costruire la potenza dell’Italia e significa essere soldato quando il dovere lo richiede. Combattere significa concepire se stessi come una persona in guerra perpetua. Guerra contro chi non è fascista (un vero italiano è anche un vero fascista; se uno non è fascista non è un vero italiano), contro chi è nemico giurato del fascismo (bolscevichi, demo-plutocratici, ebrei, apolitici eccetera) e guerra contro tutto ciò che è altro dall’essere fascista. Significa marciare nella guerra fascista verso il futuro che il duce vuole costruire.
Analogamente anche il nazionalsocialismo educava i propri giovani al culto del Führer e della svastica. Oltre alle organizzazioni giovanili come la Hitlerjugend si organizzarono anche scuole, come la “Hitler Schule” o la “Hauptschile” dove a determinare la selezione dei giovani studenti erano criteri razziali e legami con il partito, in modo da garantire una educazione di privilegio solamente a coloro i quali risultassero “meritevoli”.
Per capire quanto la razza fosse fondamentale per la costruzione della gioventù nazista possiamo leggere un articolo del professor Walter Gross (capo ufficio politico razziale nazionalsocialista) sulla rivista «Die Bewegung» (28 marzo 1941), che era la rivista ufficiale degli studenti nazionalsocialisti.
L’articolo afferma che, al contrario di quanto si faceva in passato, il nazismo ha anteposto la questione razziale alla questione economica. Hitler ha posto sempre l’accento sull’importanza del sangue nella storia dei popoli e degli Stati: «solo un popolo che difende il suo bene ereditario da ogni mescolanza e da ogni contaminazione di razza può affacciare prospettive ed avanzare aspirazioni di avvenire, solo la custodia gelosa della purezza razziale e della stretta unità di un popolo può assicurarne l’attività e la consistenza».
Con la caduta della Polonia, dell’Olanda, del Belgio e della Francia si aprono le porte per la costruzione economica del Nuovo Ordine Europeo. Ma «Sarebbe errato voler dedurre dal fatto di un’unità economica e storica dell’Europa che ad essa debba e possa corrispondere anche un’unità razziale e di sangue […]. È vero che i popoli sono in complesso costituiti di elementi razziali eguali ed insieme imparentati, ma è ancor più vero che il rapporto di questi elementi tra loro è straordinariamente diverso nei vari popoli ed il fatto stesso e l’azione di queste differenziazioni informano profondamente il carattere e la natura delle varie nazioni europee».
Cioè: è necessario costruire un Nuovo Ordine Europeo che però non escluda il mantenimento della purezza razziale, perché «una siffatta mescolanza di sangue porterebbe senza alcun dubbio e rapidamente alla distruzione dei valori peculiari caratteristici che si sono sviluppati in ogni singolo popolo. […] Di conseguenza anche il popolo tedesco si opporrà decisamente all’immissione nel proprio corpo di sangue straniero, di lavoratori stranieri ed a rinunciare al sangue dei propri lavoratori in altri Paesi. E la Germania non solo consentirà, ma anzi inciterà vivamente gli altri popoli ad assumere verso di lei consimile atteggiamento.
Non un’uguaglianza livellatrice, ma il mantenimento delle proprietà razziali divenute storiche può offrire la garanzia che nel futuro spazio della grande Europa vivano popoli legati insieme dal lavoro e dalle opere, ma pure indipendenti e capaci di ulteriori sviluppi culturali».
E conclude affermando: «Non vi è dunque contraddizione alcuna nel fatto che la Germania vittoriosa impersoni e rappresenti oggi a vantaggio di tutti i popoli europei e per la pace del mondo, il principio di un nuovo ordine comune di tutta l’Europa, di un grande “spazio Europeo” e di un comune destino di esso, e che in pari tempo proclami il rispetto più assoluto dei confini di sangue di ogni popolo preservando così ogni popolo stesso» (ACS, Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali e Riservati. 1943, Busta 4, Fascicolo “Germania. Notizie varie”, Telespresso n. 34 R 4114. La difesa razziale nel quadro della nuova Europa in un articolo del Dr. Gross, 18 maggio 1942).
Dunque, l’aspetto razziale che quotidianamente si poneva ai giovani nazisti come fondamentale per la propria educazione e il proprio futuro era fondamentale anche per la costruzione della Nuova Europa.
I regimi totalitari volevano inserirsi nell’educazione dei giovani non solo per scalzare i tradizionali educatori e punti di riferimento per la gioventù (famiglia, parrocchia, scuola), ma anche per immettere nelle menti dei giovani i nuovi ideali e nuovi principi. Questo significava cambiare completamente le proprie abitudini: sostituire il Gutentag! con Heil Hitler! e la stretta di mano al saluto romano non erano solamente un modo per costruire una società ordinata solamente di facciata, ma per far comprendere alle persone (e in special modo alle nuove generazioni) che il Duce e il Führer erano diventati punti essenziali e fondanti della vita di ognuno.
Doveva venir naturale sacrificare la vita per gli ideali che i regimi imponevano. Doveva essere naturale perché l’obiettivo dell’educazione non era costruire cittadini consapevoli della propria personalità e renderli capaci di esporre le proprie idee in un contesto dove la libertà individuale era ammessa, ma di costruire dei soggetti soldati-lavoratori in totale asservimento al regime dominante.
Nelle manifestazioni dei Balilla e della Gioventù Hitlerliana ci si rende conto subito di una cosa: l’individuo assume significato non in quanto singolo, ma in quanto parte di un gruppo. E se c’è qualcuno che emerge per la propria personalità questi può essere solo il Duce o il Führer.