L’amianto è stato ampiamente utilizzato in Italia e in Europa per la coibentazione e in ambito edilizio. La sua nocività è nota da inizio Novecento, quando la sua inalazione era stata messa in relazione con una malattia polmonare nota come “asbestosi”, che nel secondo dopoguerra venne annoverata tra le malattie ad assicurazione obbligatoria. È solo alla fine degli anni Sessanta tuttavia che la comunità scientifica nazionale e internazionale condusse i primi significativi studi epidemiologici riguardo i rischi cancerogeni connessi all’inalazione dell’amianto, gravanti in special modo sui lavoratori, sui loro familiari e sugli abitanti delle zone limitrofe agli stabilimenti in cui era utilizzato.
La maggiore evidenza scientifica che provava una correlazione tra amianto e mesotelioma, unita alla crescente importanza delle mobilitazioni operaie e sindacali, portano negli anni Settanta e Ottanta a significative rivendicazioni, volte a denunciare l’elevato rischio di cancerogenità connesso all’inalazione del materiale dalla consistenza fibrosa. Luogo simbolo di tale contestazione fu Casale Monferrato, comune in provincia di Alessandria dove sorgeva uno stabilimento Eternit, nota azienda svizzera di lavorazione di fibrocemento.
Fu in particolare sotto la guida di Bruno Pesce e Nicola Pondrano, entrambi esponenti della Cgil, che le vertenze in fabbrica si fusero con le rivendicazioni del territorio. Fondamentale fu la nascita, nel 1988, dell’Associazione familiari vittime amianto, che coinvolse nella battaglia culturale, politica ed economica contro l’Eternit anche coloro che erano lontani dalla cultura del sindacato di fabbrica, ma ugualmente colpiti dal dramma del mesotelioma. Cgil e Afled (poi divenuta Afeva) furono tra principali protagonisti di una battaglia giudiziaria contro Stephan Schmidheiny, proprietario della multinazionale Eternit. Questi fu condannato in primo e in secondo appello per disastro ambientale colposo, condanna poi prescritta in Cassazione. In altre parole la Cassazione ha attestato che il reato sussiste, ma non è perseguibile penalmente a causa del tempo trascorso.
Nel 1992 sarebbe entrata in vigore la legge che bandiva la produzione, l’impiego e la vendita di amianto in Italia, nel 1999 simile norma venne estesa a livello europeo. Queste normative tuttavia non mettono un punto definitivo a questa storia, che è lontana dall’essere conclusa. Si pensi da un lato che il lungo periodo di latenza che intercorre tra l’esposizione alla fibra e la contrazione della malattia (circa vent’anni) portano a collocare il picco delle morti per mesotelioma tra il 2020 e il 2025. D’atro canto è necessario ricordare che la tipologia dell’amianto bianco è ancora ampiamente utilizzata in molti paesi al di fuori dell’Europa: il Canada è uno dei primi esportatori al mondo, mentre Cina, Russia, Thailandia, India e Brasile sono tra i principali produttori.
Bibliografia
- Enrico Bullian, Il male che non scompare. Storia e conseguenze dell’uso dell’amianto nell’Italia contemporanea, Trieste, Il ramo d’oro, 2008
- Bruno Ziglioli, Sembrava nevicasse. La Eternit di casale Monferrato e la Fibronit: due comunità di fronte all’amianto, Milano, Franco Angeli, 2016
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