8. Underground

Underground (regia di Emir Kusturica, prod: Karl Baumgartner, 1995, Bulgaria, Francia, Repubblica Ceca, Germania, Jugoslavia, Ungheria)

  1. Sinossi:

Due non troppo eroici partigiani jugoslavi, Nero e Marko combattono l’invasore nazista alternando la lotta di liberazione a scorribande amorose e criminali. Quando la situazione si fa pericolosa si nascondono in un rifugio sottoterra dove dovrà riparare Nero, ferito durante un’azione per rapire Nataljia, la ragazza di cui è innamorato. Una volta recluso nel sotterraneo, insieme ad altri rifugiati, Nero verrà convinto con l’inganno dall’amico che la guerra non è mai terminata e pertanto rimarranno segregati nel bunker per oltre cinquant’anni. In superficie gli eventi storici fanno il loro corso con l’instaurazione della dittatura di Tito e il suo successivo crollo. Marko diventa un ricco e potente membro del Partito e amante di Nataljia. L’ex-partigiano ha infatti guadagnato una fortuna sfruttando la manodopera dei reclusi ingannati. Quando questi riusciranno a uscire si troveranno effettivamente ancora nel mezzo della guerra, stavolta quella seguita al crollo della ex-Jugoslavia. Marko e Nataljia verranno puniti per i loro inganni e il film si conclude con una scena onirica di riappacificazione tra vivi e morti.

Scheda tecnica

2. Quale idea d’Europa?

Questo celebre film è un’opera molto importante per una mappa cinematografica dell’Europa per una serie di motivi: oltre a dare una visibilità internazionale a Kusturica (e alle cinematografie balcaniche) grazie alla vittoria della Palma d’oro a Cannes e quindi mettendo al centro della scena del cinema europeo una serie di opere e autori finora messi in ombra dai loro omologhi occidentali, Underground confligge con una certa retorica che vede gli anni del dopoguerra caratterizzati da nuova era di pax europea. Nonostante infatti il processo di integrazione abbia in effetti disinnescato l’emergere di conflitti su scala continentale (soprattutto sull’asse franco-tedesco), la seconda metà del Novecento in Europa è segnata da svariati conflitti armati che, tra gli altri, includono i troubles irlandesi per arrivare appunto alle guerre legate alla dissoluzione della ex-Jugoslavia. Underground tratta in chiave grottesca il Novecento balcanico dall’invasione nazista, passando per il regime di Tito per arrivare allo scoppio dei conflitti fratricidi degli anni Novanta. Il film è infatti suddiviso in tre parti che contengono tutte la parola “guerra”: Parte I – La Guerra; Parte II – La Guerra Fredda; Parte III- La Guerra Fredda. Questa composizione ad anello che inizia con un conflitto e con un conflitto termina sembra quasi inverare l’inganno di Marko per cui sostanzialmente l’area balcanica ha dovuto affrontare un “lungo scontro” che va dagli anni Quaranta all’alba del nuovo millennio. Ivan, il fratello di Marko, è il personaggio in grado di comprendere meglio la realtà circostante quando afferma: “Nel nostro paese c’è soltanto la guerra.” Il tono grottesco del film rende ancora più straniante, quasi favolistico, un racconto storico di un paese costantemente martoriato e diviso al suo interno tanto che il cartello che precede la narrazione e la battuta che chiude il film affermano: “C’era una volta un paese…”. Kusturica racconta la Grande Storia del Novecento balcanico usando un registro ironico e paradossale, mischiando una serie di generi cinematografici che vanno dal drammatico al (pseudo) documentario e citando tanto Fellini e Jean Vigo quanto i cartoni animati di Tex Avery, proprio per sottolineare l’assurdità del recente passato del suo paese. Attraverso il dispositivo narrativo della “finzione” di Marko, Underground opera anche una riflessione profonda sull’arte come atto di falsificazione e menzogna: l’arte infatti può raggiungere tanto la Bellezza più sublime (il teatro) quando diventare mistificazione della Storia (il film di propaganda e il falso libro di memorie) o addirittura un mezzo di sfruttamento (la “messa in scena” per tenere i rifugiati nel bunker che passa anche per la realizzazione di falsi telegiornali). I linguaggi e i dispositivi mediatici (cinema, televisione, radio) vengono usati per distorcere la realtà e per tenere prigioniera una comunità come fossero una nuova incarnazione del marxiano oppio del popolo. Nataljia, non a caso di professione attrice, sostiene: “In nessuna opera c’è la verità, tu sei la verità! Tu devi essere la verità. L’arte è una grande bugia!” Oltre alla riflessione meta-cinematografica, è chiara la denuncia del regista al ruolo dei media nel manipolare l’informazione e l’opinione pubblica. A venire criticati però non sono solo i totalitarismi novecenteschi, di destra o sinistra, ma anche il mondo emerso dalla fine della Guerra Fredda, governato dall’economia di mercato e da conflitti interni: quando i “reclusi” escono dal rifugio, viene ritratta in modo satirico una nuova Europa diventata una sotterranea autostrada per merci, armamenti, soldati e clandestini che collega Atene e Berlino attraversando Belgrado. In superficie invece regnano distruzione e violenza tanto che i fiumi di sangue filtrano nelle profondità della terra. I corsi e ricorsi storici vengono enfatizzati da comparse cinematografiche vestite da soldati nazisti che attraversano il tunnel per recarsi sul set; inoltre Ivan scambierà i tedeschi che festeggiano per la caduta del muro di Berino per gli invasori di un tempo. Sarà proprio un gruppo di medici tedeschi (dall’invasione militare al biopotere della scienza) ad internarlo in una struttura sanitaria. Per rifugiarsi dal nuovo conflitto, la popolazione è costretta a rifugiarsi ancora una volta nel sotterraneo: la storia dei Balcani non sembra poter sfuggire alla sua ciclicità. Solo la scena finale sembra offrire un happy ending, seppur confinato in una dimensione onirica: vivi e morti si re-incontrano per festeggiare un matrimonio e possono finalmente dire “il passato è passato”. Ma il cartello finale ricorda allo spettatore che “questa storia non ha fine”. Nonostante il pessimismo del film, a voler dare un segnale di speranza fu lo stesso Kusturica (nonostante il regista venne molto contestato per le posizioni politiche espresse) che volle che Underground venisse presentato a Cannes non sotto le bandiere dei singoli paesi coinvolti nella produzione ma come una realizzazione della Comunità Europea.