Il terzo uomo (titolo originale: The Third Man, regia di Carol Reed, prod: London Film Productions, 1949, Gran Bretagna/Stati Uniti)
- Sinossi:
Nella Vienna del secondo dopoguerra, lo scrittore americano Holly Martins (Joseph Cotten) cerca il suo amico Harry Lime (Orson Welles). Scopre che quest’ultimo è morto in un incidente misterioso e comincia a cercare la verità in una complicata matassa, destreggiandosi tra le autorità delle diverse potenze che occupano la capitale austriaca. Alla fine verrà rivelato che Lime è ancora vivo ed è a capo di un traffico illegale di medicinali. In nome dell’amore (non ricambiato) per Anna (Alida Valli) Martins tradirà l’amico, colpevole di fornire vaccini fallati ai bisognosi.
Scheda tecnica
2. Quale visione d’Europa?
In questo classico dello spy-movie, il panorama dell’Europa post-bellica è desolante sia moralmente sia dal punto di vista architettonico. Vienna è una città di rovine e nessuno dei protagonisti sembra possedere alcun sentimento morale; tutti i personaggi sono vittima delle brame di ricchezza o prigionieri di una paranoia del sospetto. Questo clima mina ogni possibilità di empatia e solidarietà. Già la sequenza di apertura ci mostra un mondo senza alcuna speranza, un’Europa anno zero dominata dalla distruzione: mentre la voce narrante apre il film, ci vengono mostrate le immagini della capitale austriaca dei monumenti e della statua di Strauss a cui vengono subito contrapposte scene delle rovine dei bombardamenti con sfollati e ladri che si muovono nelle strade. Viene mostrato anche un cadavere che galleggia nel Danubio. Ci viene illustrata la complessa situazione politica di una nazione sconfitta e divisa tra le diverse zone di occupazione: quella americana, britannica, francese e russa. La divisione politica si riflette anche in un’impossibilità di comunicare: le varie polizie non si comprendono e non vogliono collaborare perché ognuna persegue obbiettivi geopolitici differenti. Non è solo Vienna ad essere ridotta così, la voce off ci ricorda che la capitale austriaca non è ridotta peggio di altre città: l’Europa del Terzo uomo è già l’Europa divisa dalla guerra fredda. Come è rappresentato il mondo post-bellico? Il film di Reed ci mostra ambienti cupi, dominati dalla sindrome del sospetto (enfatizzati da un uso espressionistico dell’obbiettivo grandangolare e da inquadrature oblique) e personaggi che si ritrovano in ambienti squallidi come bar, nightclub o addirittura le fogne. L’azione è spinta in avanti da inseguimenti nell’oscurità e da arresti. Per dare quella particolare luce e aumentare i contrasti tra luce e ombra, la produzione scelse di bagnare le strade di Vienna prima della ripresa ottenendo così superfici scintillanti. Nel film, anche la sala cinematografica viene trasformata in un covo in cui nascondersi e lo spazio privato delle case non viene qualificato come tale in quanto non costituisce un sicuro rifugio. Le speranze di ricostruzione del neorealismo di Roma città aperta o tanto più quelle umanitarie dell’anteguerra de La grande illusione sono per sempre svanite. Non a caso il film è ascrivibile al genere noir: tipologia narrativa che esprime per eccellenza una visione nichilista dell’esistenza e che descrive l’irriformabile corruzione dell’essere umano e dello spazio urbano. Centro dell’azione però stavolta non sono le megalopoli statunitensi ma le città d’arte europee, capitali di storia e cultura. Tutti i personaggi della narrazione sono coinvolti in affari sporchi e sono guardati a vista dagli agenti delle potenze occupanti. Solo il protagonista americano, scrittore di western e quindi portatore inizialmente di una visione manichea del bene e del male, sembra essere guidato da una moralità innocente e pura ma verrà sempre più coinvolto nel cuore di tenebra della città in cui la differenza tra criminali e forze dell’ordine è un sottilissimo confine. Alla fine Martins vivrà un’avventura simile ai racconti pulp che lui stesso scrive. Ad aumentare la diffidenza verso le varie polizie c’è anche il fatto che vengano considerati come invasori dalla popolazione locale (si veda la famiglia del portiere del palazzo in cui abitava Lime). Le vie della città sono infatti dominate dalle bandiere delle potenze straniere. In questo regno del sospetto anche i documenti (e le nazionalità) sono falsificabili: Alida Valli, una cecoslovacca in fuga dai russi, si fa passare per austriaca di Graz. Nel mondo assurdo della Vienna del dopoguerra a dominare sono il cinismo e l’avidità ma perfino i soldi si rivelano una moneta di scambio non universale, le valute delle diverse zone non vengono riconosciute negli altri settori.
La realtà europea, descritta dallo sceneggiatore Graham Green, è priva di morale, al di là dei concetti di bene e male: l’unico obbiettivo è lucrare su una situazione disastrosa e, come sostiene Harry Lime, viste dall’alto della ruota panoramica del Prater “le vittime sono solo puntini”. Da qui il celeberrimo elogio che il personaggio fa sulla crudeltà “creativa” dell’Italia rinascimentale opposta alla tranquilla storia della Svizzera, accusata di aver prodotto in cinquecento anni di pace solo l’orologio a cucù. Se alla fine sembra un desiderio d’amore a redimere il protagonista (e il clima nichilista del film) anche questa non si rivelerà che un’ulteriore illusione: nella scena conclusiva, Anna lo ignora e gli passa oltre. La visione dell’Europa di Carol Reed è la più cupa e senza speranza possibile.
Bibliografia:
– Charles Drazin, In Search of the Third Man, Limelight Editions, 2000.
– Alexander Glück, On the Trail of The Third Man in Vienna, Styriabooks. 2014.
– Brigitte Timmermann The Third Man’s Vienna, Shippen Rock Publishing, 2005.