6. Pane e cioccolata

Pane e cioccolata (regia di Franco Brusati, prod.: Maurizio Lodi-Fé, 1974, Italia)

  1. Sinossi:

Nino (Nino Manfredi), un immigrato italiano in Svizzera, passa da un lavoro all’altro vivendo la condizione di emarginato nell’opulenta società elvetica. Rischiando costantemente l’espulsione per mancanza di permesso di soggiorno nel suo girovagare, il protagonista incontrerà una serie di personaggi grotteschi: dall’evasore fiscale in fuga agli operai di una miniera per arrivare a un “mostruoso” gruppo di clandestini che vivono in un pollaio. Nonostante le asperità e le frustrazioni della vita da immigrato, Nino non vorrà mai a tornare nel paese natio e continuerà a cercare fortuna in Svizzera.

Scheda tecnica

2. Quale idea d’Europa?

Pane e cioccolata è un film crudele che mostra il lato disumanizzante dell’Europa delle migrazioni: l’impossibilità di integrazione nella società ospitante a causa di pregiudizi razzisti, la dura condizione lavorativa dei migranti e allo stesso tempo la perdita della identità in quanto inconciliabile con quella del paese di arrivo. Le vicende di Nino sono un susseguirsi di disperati e grotteschi episodi che non risparmiano né gli espatriati (ridotti letteralmente a bestie) né la patinata ma crudelissima società svizzera. Questi due poli sembrano appartenere a due mondi opposti già dalla prima scena nel parco: le famiglie locali pranzano con eleganti tovagliette da pic-nic e tirano fuori dai cestini ogni tipo di leccornia, il volgare e rozzo Nino mangia un panino con dentro la cioccolata e getta la cartaccia per terra. L’uso della musica classica in sottofondo non fa che stonare ancora di più con il suo pranzo misero e i suoi modi volgari. Il suo smarrimento identitario è subito rivelato quando parlando (non ascoltato) con una signora svizzera su una panchina, Nino sembra aver metabolizzato e interiorizzato la visione xenofoba della società ospitante e contrappone lui stesso la superiorità elvetica allo scarso senso civico degli italiani. Subito dopo però la crudeltà svizzera viene mostrata quando viene portato in commissariato dalla scena di un omicidio anche se la polizia conosce già chi è l’assassino e quindi ha già la certezza della sua estraneità ai fatti. La sua natura di immigrato basta per giustificare l’interrogatorio. Le forze dell’ordine sono esse stesse portatrici pregiudizi razzisti: quando Nino dichiara “sono italiano”, questi rispondono “nessuno è perfetto”. L’Europa delle migrazioni di Pane e cioccolata è un’arena del capitalismo in cui i poveri lavoratori stagionali sono costretti a scannarsi a vicenda per garantirsi il rinnovo del contratto e il permesso di soggiorno: turchi, italiani e spagnoli sono pronti a ogni tipo di scorrettezza per sopravvivere in questa lotta darwiniana per mantenere un lavoro infamante e mal pagato. Nino verrà licenziato dal ristorante per avere urinato in strada e da lì comincerà una personale odissea alla ricerca di un impiego mentre il collega turco riuscirà a ottenere il posto fisso permettendo così alla sua famiglia di raggiungerlo. Il protagonista sarà così costretto a girovagare in modo solitario attraverso un paese ostile. Lo spaesamento identitario di Nino passa per il suo perdere ogni àncora identitaria: il protagonista cerca di ricrearsi un rifugio nella sua misera abitazione con tanto di fiasco di vino e foto della famiglia lontana con cui immagina di dialogare. La scena successiva però ci rivela che anche questa (consapevole) illusione di pace e ristoro è falsa in quanto il protagonista divide l’appartamento con il suo eterno rivale, l’immigrato turco. Anche il paradigma identitario di Nino relativo all’italianità è messo in crisi: come si è detto, è lui stesso a fare propri i pregiudizi-anti italiani degli svizzeri (dice all’evasore italiano in fuga: “bei figli, sembrano stranieri!”) e rigetta l’atteggiamento arrendevole e folkloristico dei connazionali.

Oltre alla massa dei lavoratori stagionali, il film ci mostra altre tipologie di migranti: il ricco evasore fiscale che in Svizzera ha trovato rifugio, i minatori costretti a vivere in isolamento e i clandestini ridotti come bestie. Il processo animalizzazione dell’immigrato è acuito da continuo confronto con la fisiognomia elvetica, volutamente e grottescamente rappresentata come una “razza” di superuomini wagneriana. Il rapporto tra le fisionomie perfette e i mostruosi italiani è tutto condensato negli sguardi meravigliati e invidiosi dei migranti che osservano di nascosto gli svizzeri senza osare interagire con quelli che ai loro occhi sembrano dei. Nino ha un crollo quando chiedendo ai clandestini come lo vedono e alla risposta “sei italiano come noi”, il protagonista sceglie di amputarsi della sua stessa natura. Il protagonista considera la sua stessa fisiognomia un ostacolo all’integrazione e pertanto decide di tingersi di biondo. Nino annulla la sua identità per scimmiottare caricaturalmente quella degli svizzeri.  Inizialmente il suo camuffamento sembra funzionare in quanto ottiene finalmente un riconoscimento (seppur limitato solo alle forme di cortesia) da parte dei locali, seppur a prezzo degli insulti del cameriere connazionale della birreria in cui si reca. La sua reale identità emergerà tuttavia quando sente degli svizzeri insultare gli italiani durante una partita di calcio. La vergogna contro il volontario auto-annichilimento identitario si manifesta nella scena successiva in cui Nino rompe con una testata lo specchio in viene rifesso il suo nuovo aspetto. Il meccanismo narrativo del camuffamento come modo di ricreare la propria identità e come mezzo di sopravvivenza in una società ostile è un leit-motiv di tutto il film: dalle uniformi professionali (che qualificano un individuo per il lavoro che svolge e non per la sua personalità) allo spettacolo en travesti dei minatori per sopperire alla mancanza di donne. La recitazione e la costrizione alla performance come caratteristica intrinseca della condizione migrante è esemplificata anche da un altro personaggio del film: la rifugiata politica greca che per salvare il figlio finge di amare un poliziotto solo in quanto questo può garantire a lei e al figlio la permanenza in Svizzera. Come ha sostenuto Adrian Bremenkamp, Pane e cioccolato mostra come il fenomeno migratorio porti all’annullamento dell’identità del migrante che rimane confinato in una situazione di liminalità caratterizzato da paradigmi identitari fluidi e mai ben definiti. Il film di Brusati ci mostra l’Europa della mobilità in tutta la sua spietatezza dove vi sono cittadini di serie A e serie B e in cui il lavoro perennemente precario porta a un’alienazione dell’individuo non solo inteso come ingranaggio del capitalismo ma anche alieno in quanto elemento esterno ed inassimilabile alla società dominante. Nino alla fine del film non si identifica né come svizzero né come italiano tanto che la pellicola si conclude sia con la sua impossibilità di tornare in Italia ma anche con il suo stazionare in uno spazio liminale come il tunnel che collega i due paesi.

Bibliografia:

  • Adrian Bremenkamp, Liminalità comecondition migrante: spazio, immagine e corpo in Pane e cioccolata, in a cura di Tanja Michalsky et al., Geografie della migrazione, Campisano, 2022.
  • Enrico Giacovelli, La commedia all’italiana, Gremese Editore, 1990.
  • Gerry Guida e Fabio Melelli (a cura di), Pane e cioccolata. Brusati, Manfredi e l’odissea della migrazione, Edzioni Artdigitland, 2021.