- Sinossi:
Roma: Irene (Ingrid Bergman), una ricca borghese straniera sposata a un industriale, entra in crisi dopo il suicidio del figlio. Spinta dal cugino comunista (il regista Ettore Giannini), esplora i quartieri più poveri della città ed entra in contatto con un mondo di disperati e nullatenenti. Nel suo percorso di “santità” attraverso atti di carità, finisce per sostituire una donna (Giulietta Masina) nei suoi turni in fabbrica e aiuta un giovane ladruncolo in fuga. Verrà giudicata pazza e rinchiusa in manicomio.
2. Quale idea d’Europa?
Il percorso di scoperta e disillusione nei confronti di qualunque fede (siano esse laiche o religiose) che attraversa la protagonista (ispirata alla vita di Simone Weil) non è semplicemente un intimo ritratto psicologico ma è anche un barometro rivelatore delle paure e delle divisioni ideologiche dell’Europa dell’immediato dopoguerra. Vedere con la distanza storica Europa ’51 permettere di capire quanto il processo di ricostruzione post-bellica non sia stato una traiettoria lineare e luminosa che va dalla Liberazione al benessere diffuso ma un sentiero oscurato da cupe ombre, tormenti e sfiducia nei miti del proprio tempo. Il film di Rossellini porta a un’estrema conseguenza il discorso neorealista spogliandolo di ogni orpello stilistico e di qualunque forma di ingenuo ottimismo. L’inizio della versione edita in DVD (Europa ’51 è stato distribuito nel mondo con diversi cut) è infatti quanto di più zavattiniano si possa immaginare: una coppia di anziani romani sul ciglio della strada si lamenta di uno sciopero dei mezzi e della fatica che devono fare per attraversare la città. La cinepresa li segue per poi abbandonarli e pedinare il tragitto di una macchina lussuosa guidata da Irene, interpretata dalla diva Ingrid Bergman. La protagonista è bellissima, truccata e vestita con gusto: dalla quotidianità del popolo romano sembra di essere passati una narrazione di stampo hollywoodiano. Irene fa parte della borghesia internazionale della Capitale, vive in un appartamento di classe e, oberata dai lussuosi beni di consumo e dalle ritualità sociali della mondanità, ignora le richieste di attenzione del suo bambino. Europa ’51 demolisce già così il primo mito della Ricostruzione, operando anche uno svelamento in chiave critica delle narrazioni hollywoodiane: dietro il sipario accecante del lusso borghese e patinato in cui si muovono i personaggi, Rossellini ci ricorda come la nuova società del benessere capitalista (e con essa i film americani) non siano in grado di intercettare le richieste d’aiuto della realtà circostante. Per usare la metafora adoperata da Mark Cousins nel suo The story of film per descrivere il cinema classico, secondo Rossellini la borghesia del lusso e il racconto cinematografico tradizionale sono come decorazioni natalizie dorate tanto false quanto destinate a rompersi appena entrano in contatto con la dura realtà. L’infantilismo di questa classe dirigente viene palesato quando gli invitati al ricevimento di Irene cominciano a giocare con i giocattoli del figlio il quale, al contrario, è vittima della depressione indotta dall’essere costantemente ignorato dalla madre. Il contesto storico-politico viene esplicitato nella scena della cena in cui emergono le ansie del periodo della Guerra Fredda: i commensali si interrogano se il mondo del futuro prossimo sarà dominato dalla guerra o dalla pace. Le divisioni politiche causano una frattura tra i presenti: nell’edizione angloamericana del film è presente una scena dove Irene dichiara di aver sistemato i posti a tavola secondo il credo politico degli astanti. A sinistra il cugino comunista (“la colomba della pace”), a destra quelli del “piano Marshall” e al centro un campo neutro “come la Svizzera”. Questa esplicita resa didascalica delle divisioni europee della Guerra Fredda è stata eliminata su richiesta di Giulio Andreotti il quale non gradiva che solo i comunisti venissero identificati come pacifisti. In ogni caso, questa scena ci rivela che l’Europa del dopoguerra non è coesa e che la minaccia atomica incombe su entrambi gli schieramenti. Altre menzioni alla politica del tempo sono: una scena successiva in cui viene mostrato la redazione di un giornale di opposizione che sta preparando un articolo sull’imperialismo americano in Persia per impossessarsi delle riserve petrolifere (riferimento alla nazionalizzazione del 1951), la sequenza in cui la madre di Irene la intima di allontanarsi dai comunisti in quanto perseguitati negli Stati Uniti e la menzione del personaggio di Giulietta Masina ai campi profughi dell’IRO (Organizzazione Internazionale Profughi). Paradossalmente, di fronte alle ansie degli anni Cinquanta i protagonisti nel corso del film ricordano la quotidianità durante la guerra e sotto i bombardamenti come momenti autentici in cui la vita era pienamente vissuta e i rapporti umani più sinceri. Il giornalista ricorda anche il periodo del 1947, quando gli entusiasmi per il futuro erano ancora vivi ma tuttavia la sua fede comunista gli fa ancora credere che in futuro sarà possibile avere il “paradiso in terra”. Le false promesse della Ricostruzione sono fallite, questo concetto emerge pure dal titolo: se nella “trilogia della guerra” di Rossellini c’era un (via via sempre più disperato) ideale di speranza e di rinascita, già il titolo Europa ’51 ci ricorda che non c’è stato nessun “anno zero” ma il mondo continua con la datazione pre-bellica, come se la seconda guerra mondiale non avesse marcato nessuna cesura (positiva). Se i bambini di Roma città aperta rappresentano la speranza in un nuovo inizio, il figlio di Irene (come già il piccolo Edmund in Germania Anno zero) di fronte all’insostenibilità del mondo sceglie di uccidersi. Europa ’51 denuncia la bancarotta morale dell’Europa post-bellica. Il film abbandona così lo stile da dramma da camera borghese della prima parte per accompagnare lo spettatore nella scoperta del mondo esterno: lo spazio cinematografico del film si apre ad ambienti segnati da povertà e miseria. Seguendo le riflessioni sull’ingiustizia della società del cugino comunista, Irene si addentra nelle borgate romane. Significativo che senza alcuna ragione narrativa (ma altamente simbolica), la protagonista rinuncia ad usare l’auto per usare il bus. Da un’ambientazione e uno stile di racconto hollywoodiani siamo ora in una narrazione neorealista in mezzo a bambini morenti perché privi di medicine, cadaveri nel fiume, ambienti squallidi e una cronica mancanza di lavoro. Le false promesse di benessere postbellico sono quanto mai lontane. Irene sceglie cosi la via della carità diventando una santa laica, venendo presa per matta dalla famiglia. La protagonista decide di sostituire una conoscente nei turni in fabbrica e il dramma del proletariato diventa ora un dramma industriale. Il mondo operaio si rivela in tutta la sua durezza e questa scena demistifica sia il credo del comunista sia l’articolo I della Costituzione che vedono il lavoro come una forma di nobilitazione dell’essere umano: Irene sostiene che il lavoro non garantisce la libertà ma è in realtà una condanna. A seguire vengono demoliti anche il mito positivista della fede nel progresso tecnologico e scientifico: Irene assiste alla proiezione di un cinegiornale che mostra il prezzo umano della modificazione dell’ambiente per la realizzazione di una diga. La voce off del documentario celebra il vantaggio della costruzione dell’infrastruttura ma allo stesso tempo viene mostrata una folla di sfollati che vengono cacciati dalla loro casa proprio per permettere la costruzione della grande opera. Anche la scienza viene messa al vaglio della gelida analisi di Rossellini in questa parabola della disillusione: creduta “un’anomalia” per il suo altruismo non sorretto da alcun motivo o ragione politica, Irene viene rinchiusa in manicomio dove viene analizzata da psichiatri. La medicina si svela come strumento di controllo governato dalle istituzioni; la commissione che la giudica folle è composta da un medico, un avvocato e un giudice. La protagonista viene internata per difendere dalla società; nonostante Irene sembri una santa anche la chiesa prende le distanze da lei perché “anche il bene va fatto con misura”. A piangere per la sua reclusione, non ci sarà nemmeno la sua famiglia ma solo i disperati che ha aiutato con le sue azioni. L’Europa post-bellica mostrata da Rossellini è un Europa dominata dalla paura per il futuro e la minaccia atomica e ostaggio di false ideologie che fanno dimenticare la vera essenza dell’umana solidarietà: come dice Irene “solo chi è libero può legarsi agli altri”. Stupisce poco sapere che questo film scontentò ogni parte politica (cattolici inclusi) per il suo approccio disilluso e antidogmatico.