Il campo di Lipa, a una ventina di chilometri dalla cittadina di Bihać, nel nord della Bosnia, costituisce uno dei più recenti esempi di campi profughi temporanei. In questo luogo, o forse bisognerebbe considerarlo un non-luogo in quanto sprovvisto di una giurisdizione propria, un proprio regolamento degli accessi, e sfornito di elettricità, acqua corrente, fognature e cucine attrezzate, gestito unicamente da associazioni volontarie e dalla Croce Rossa, si radunano quanti fuggono principalmente dal Medio Oriente, come Afghanistan, Iran, Iraq, Pakistan, Siria.
Nel dicembre 2020 l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni decide di chiudere la struttura, non essendoci le condizioni minime per ospitare degli esseri umani, e il giorno dell’annuncio un incendio distrugge il campo di Lipa. I quasi duemila migranti che vi stazionavano, soprattutto uomini soli e minorenni, ma anche famiglie con bambini, si trovano improvvisamente senza un riparo, nel bel mezzo del gelo dell’inverno. Quanti tentano di allontanarsi e dirigersi verso il confine con la Croazia, attraverso i boschi, vengono respinti brutalmente e rispediti nei pressi di Lipa, dove sono state riallestite delle tendopoli di fortuna in cui vivono ancora centinaia di persone. Persone che si trovano in questi luoghi per tentare di entrare nei territori dell’UE: la Croazia, la Slovenia, l’Italia, alcuni sono bloccati in quest’area da tre anni. Lipa rappresenta il punto finale della “rotta balcanica”, il corridoio che dovrebbe portare i migranti al cuore dell’Europa. La Bosnia non è uno Stato membro dell’UE, ma confina con uno di questi, la Croazia che ha adottato delle politiche migratorie molto restrittive e che permette ai propri agenti di frontiera di respingere con la violenza quanti si presentano alle porte del Paese. Questi poliziotti non solo picchiano i migranti, ma li derubano dei loro pochi averi, privandoli dei telefoni, delle coperte, dei viveri. Nel corso del 2020 sono trapelati numerosi video e fotografie di tali violenze, nell’inverno dello stesso anno un gruppo di europarlamentari italiani si è recato in queste zone ed è stato respinto.
In Bosnia non c’è una vera crisi migratoria a livello di numeri, ma da parte del Governo centrale sembra non ci sia la volontà di mettere a norma i centri di accoglienza già presenti, o allestirne di nuovi e più dignitosi, anche attraverso l’utilizzo dei fondi (circa 90 milioni di euro) stanziati dall’UE per questo scopo. Sicuramente l’attuale situazione politica del Paese, caratterizzata da instabilità, non depone a favore di una rapida soluzione al problema. Molti dei campi presenti nel territorio sono stati invece chiusi, per esempio la cittadina di Bihac ha deciso di non riaprire il campo di Bira, meglio attrezzato e in grado di accogliere mille persone, perché si trova nel centro della città e anche la pandemia di Covid-19 ha ulteriormente limitato gli accessi nei pochi campi disponibili, costringendo quanti arrivano in questi luoghi a ripari di fortuna, in mezzo a lande desolate. Nel corso del 2020 in Bosnia-Erzegovina sono transitate 16 mila persone: più di diecimila sono rimaste bloccate nel paese sia per l’ulteriore chiusura delle frontiere dovuta alla crisi sanitaria sia per i respingimenti operati dai paesi confinanti, di queste solo 6.300 sono registrate nei campi ufficiali. Nel dicembre 2021 l’Organizzazione internazionale dei Migranti ha annunciato la riapertura del nuovo campo di Lipa, attrezzato in modo adeguato all’accoglienza. Si vedrà nei prossimi anni quanto sarà funzionale la sua riapertura e in che modo verranno gestiti gli arrivi dei migranti.