Nella penisola dei Balcani scoppiò tra 1992 e 1995 la prima guerra europea dopo il secondo conflitto mondiale. Le ragioni furono molteplici, in primis la multietnicità della regione e il forte nazionalismo che imperversò tra le popolazioni dagli anni ‘80 in avanti. Il crollo del muro di Berlino nel novembre 1989 e la conseguente dissoluzione dell’Unione Sovietica furono ulteriori fattori determinanti. Tuttavia le tensioni cominciarono prima del 1989; una data chiave è il 1980, anno della morte di Tito, che per 40 anni riuscì a tenere insieme e quasi pacificamente un territorio tanto vasto e diversificato. Dopo tale evento le diverse etnie che componevano questo enorme territorio, non più accumunate dalla fede nel socialismo ma dalle diverse convinzioni nazionaliste e religiose, cominciarono a far sentire le proprie voci di protesta e violenza, esacerbate anche dalla difficile situazione economica in cui versava la Jugoslavia.
Nel 1988 in Kosovo, provincia autonoma serba, a popolazione albanese per il 70%, chiedeva che venisse riconosciuto come Stato tra le Repubbliche jugoslave; ma il Governo di Belgrado, retto da Milosevic, non volle sentire le ragioni della popolazione serba e decise di usare la forza per ristabilire l’ordine. Queste reazioni alimentarono il sentimento nazionalista serbo, che si rifaceva al sogno della “Grande Serbia”, uno stato autonomo che racchiudeva gran parte del territorio della Jugoslavia. Nel maggio 1989, in Croazia, fu fondato il partito dell’Unione Democratica Croata, in funzione anticomunista. In Slovenia ci furono importanti proteste in seguito all’arresto e al processo di quattro giornalisti che avevano svelato dei documenti segreti del governo centrale, in cui si progettava un’occupazione militare della Slovenia in caso di sovvertimento dell’assetto politico vigente. Nel gennaio 1990, vista la situazione critica in cui si trovava il comunismo dopo il crollo del muro di Berlino, venne convocata la Lega dei comunisti di Jugoslavia, dalla quale Slovenia e Croazia ritirarono i rispettivi delegati. La crisi della Jugoslavia era ormai inarrestabile.
In Slovenia, Stato che si considerava più europeo che slavo, nella primavera del 1990 furono indette libere elezioni: vinse la coalizione democristiana di centro destra. Il Parlamento attraverso un referendum, svoltosi nel dicembre 1990, chiese alla popolazione se fosse a favore dell’indipendenza: quasi il 90% degli elettori appoggiò la proposta. Il Governo centrale di Belgrado non era affatto disponibile ad accettare il nuovo assetto costituzionale e politico della Slovenia, nonostante ciò, il 25 giugno 1991 il Parlamento dichiarò la Slovenia indipendente dalla Jugoslavia. Il 27 giugno l’Armata Popolare Jugoslavia occupò le frontiere slovene con 2000 soldati ma la Slovenia aveva l’appoggio del Vaticano, dell’Austria e della Germania, che si impegnò affinché la CEE riconoscesse il nuovo Stato; la crisi militare rientrò e l’occupazione della Slovenia si concluse dopo 10 giorni di tensione.
Anche in Croazia, dove alle elezioni della primavera 1990 aveva trionfato la coalizione nazionalista, fu organizzato un referendum che chiedeva la secessione dalla Jugoslavia. Nell’estate dello stesso anno nella regione montuosa della Krajina (confinante con la Bosnia) venne fondata la Regione Autonoma Serba della Krajina per volontà della popolazione serbo-croata contraria alla secessione. I serbi occuparono per un certo periodo le zone turistiche della Dalmazia e si creò un clima di tensione sempre più evidente. Nel marzo 1991 si svolse il referendum e vinse la parte secessionista. Di conseguenza i serbi-croati della Krajina si mobilitarono per chiedere invece la secessione dalla Croazia e l’annessione alla Serbia: la situazione si stava facendo sempre più insostenibile. Il Governo croato decise di organizzare un proprio esercito con cui combattere i ribelli serbi. L’esercito militare jugoslavo intervenne nel territorio croato perché non poteva accettare la secessione di uno Stato che era abitato anche da Serbi, che venivano quindi esclusi dalla madrepatria serba. Seguendo quindi l’ideologia nazionalista diverse città croate in cui era presente una parte di popolazione serba, vennero attaccate a partite dall’estate 1991 e fino al 1995 si svolgerà il conflitto tra Croati e Serbi. In questo sanguinoso scontro un ruolo centrale fu assunto dal Primo Ministro croato Tudjman, che alimentò fin dal principio il forte nazionalismo croato.
La Bosnia era forse la più multietnica tra gli Stati che formavano la Jugoslavia: al suo interno convivano serbi-bosniaci, di fede ortodossa, bosniaci o bosgnacchi, di fede musulmana, e croati-bosniaci, cattolici. In questo territorio la situazione geopolitica si aggravò in pochi mesi: la pacificazione delle tre componenti etniche principali non riuscì a resistere ai venti del nazionalismo.
Quando la Croazia, nell’ottobre 1991, dichiarò la cessazione di ogni legame con la Jugoslavia, il parlamento bosniaco decise di avanzare la richiesta di indipendenza per la Repubblica di Bosnia e Erzegovina. La parte serba non era affatto favorevole a questa proposta e boicottò il referendum indetto dai bosniaci, i deputati abbandonarono Sarajevo e fondarono un Parlamento alternativo in un’alta città.
Il 3 marzo 1992 la Bosnia fu dichiarata indipendente e riconosciuta come Stato a livello internazionale.
Negli stessi mesi, tra ottobre 1991 e gennaio 1992, i serbi-bosniaci, rappresentati dall’Assemblea del Popolo serbo-bosniaco, proclamarono la Repubblica del Popolo serbo di Bosnia-Erzegovina. Con la nuova Costituzione definirono i confini territoriali della Repubblica, includendo le regioni autonome serbe e tutti i territori in cui i serbi fossero in minoranza.
Per allentare le tensioni in atto, la NATO dispose l’embargo delle armi in Jugoslavia ma i serbi si impadronirono dell’arsenale dell’esercito popolare jugoslavo e vennero appoggiati da Russia e Grecia, i croati ricevevano illegalmente armi dalle coste della Dalmazia, mentre i bosniaci musulmani vennero aiutati dalle forze islamiche del Medio Oriente. A metà maggio 1992 l’esercito popolare jugoslavo si ritirò ufficialmente dalla Bosnia, divenuta indipendente, ma uno dei suoi massimi comandanti, Mladic, rimase nel paese fondando l’Esercito Serbo della Bosnia e Erzegovina. La guerra scoppiò con l’occupazione militare da parte dell’esercito popolare jugoslavo in diverse città e Sarajevo, dal 2 aprile 1992, si trovò assediata dalle forze serbo-bosniache. La città subì diversi bombardamenti e attentati, i cecchini appostati in varie zone strategiche della città fecero centinaia di vittime. La città fu completamente isolata, si fermarono i servizi dell’acqua corrente, del gas e dell’elettricità; la popolazione riuscì a resistere grazie a un lungo tunnel che correva al di sotto della città collegandola all’esterno: attraverso questo giungevano all’interno le provviste necessarie ad affrontare i molti mesi di isolamento Dall’estate 1992 l’aeroporto di Sarajevo permise agli aerei dell’ONU di atterrare e questi costituirono i soli mezzi di rifornimento per la città. I bombardamenti e le esplosioni di mortai e granate furono quotidiane e incessanti per tre anni. Rimasero distrutti dagli attacchi serbi diversi edifici di enorme importanza culturale, come la Biblioteca Nazionale e l’Istituto Orientale con migliaia di manoscritti antichi. Le forze serbe attuarono operazioni di pulizia etnica nei confronti dei musulmani nelle parti conquistate di Sarajevo, così come in altre zone della Bosnia. Moltissime donne bosniache musulmane vennero sistematicamente stuprate dall’esercito serbo.
Nella regione dell’Erzegovina si svolse la guerra tra croati e bosniaci musulmani: il capoluogo Mostar si ritrovò al centro del conflitto e controllata da entrambe le forze, l’esercito croato a Ovest mentre quello musulmano a Est. Ma i massacri e gli attacchi non si fermarono fino al 1994, quando venne stipulato un accordo di pace tra croati e musulmani. Il 24 febbraio 1994 venne firmato il cessate il fuoco a Zagabria dai comandanti dei due eserciti. Il 18 marzo 1994 a Washington venne stipulato il trattato di pace, attraverso anche la mediazione degli Stati Uniti: l’accordo prevedeva la divisione del territorio in dieci cantoni autonomi e l’istituzione della Federazione di Bosnia e Erzegovina.
La NATO decise di intervenire massicciamente dal 1994 contro l’esercito serbo: impiegò la forza aerea per bombardare gli avamposti serbi e distruggere gli arsenali di armi. Nel luglio 1995 l’esercito serbo guidato da Mladic occupò Srebrenica, nella Bosnia orientale, che si trovava sotto la protezione delle Nazioni Unite. Qui i serbi trucidarono circa 8.000 bosniaci musulmani; a controllo della zona era presente il contingente olandese con 400 uomini che non riuscì ad impedire il massacro.
Nell’agosto del 1995 l’esercito croato intervenne in una massiccia offensiva contro i serbi-croati della regione di Krajina; a seguito di questa operazione militare, 250.000 serbi fuggirono dalla Croazia. La Repubblica Serba venne sistematicamente attaccata dall’esercito della NATO e nel settembre 1995 si arrivò a far ritirare l’armata serba da Sarajevo e a organizzare un incontro tra i ministri degli esteri di Bosnia e Erzegovina, Croazia e Repubblica Federale di Jugoslavia in prospettiva di una pacificazione.
Fu deciso un “cessate il fuoco” di 60 giorni che entrò in vigore dal 12 ottobre 1995. Il 21 novembre 1995 a Dayton (Ohio) fu firmato il trattato di pace, e il 14 dicembre a Parigi si stipulò l’accordo definitivo. La Bosnia venne istituita come Stato di Bosnia e Erzegovina, diviso in due entità territoriali, la Federazione di Bosnia e Erzegovina e la Repubblica Serba di Bosnia e Erzegovina. La guerra durata quattro anni dilaniò le popolazioni dell’ex Jugoslavia; migliaia di vite furono spezzate in nome di un’ideologia, e molti dei generali serbi furono in seguito perseguiti per crimini di guerra contro l’umanità. Il massacro di Srebrenica fu attuato per compiere una pulizia etnica e per questo va chiamato genocidio ed è avvenuto all’interno di un conflitto alle porte dell’Europa Occidentale e appena fuori dall’Italia.
Bibliografia:
Diario di Zlata. Una bambina racconta Sarajevo sotto le bombe, di Zlata Filipović, Rizzoli, 1993
La guerra in casa, di Luca Rastello, Einaudi, 1998
Venuto al mondo, di Margaret Mazzantini, Mondadori, 2008 (romanzo)
Le guerre jugoslave 1991-1999, di Pirjevec Joze, Einaudi, 2014
Il ponte sulla Drina, di Ivo Andric, Mondadori, 2017 (romanzo storico)
Filmografia:
No man’s land, di Danis Tanović, 2001
La vita è un miracolo, di Emir Kusturica, 2004
Back to Bosnia, di Sabina Vajrača, 2004
Il segreto di Esma, di Jasmila Zbanić, 2006
Venuto al mondo, di S. Castellitto, 2012
Sitografia:
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Balcani/Guerra-in-Ucraina-i-Balcani-col-fiato-sospeso-216258
https://www.youtube.com/watch?v=JsjWtxK-VuE