Il 14 giugno 1985, in uno storico incontro tenutosi nella piccola cittadina lussemburghese di Schengen, l’allora Repubblica Federale Tedesca, la Francia e i Paesi del Benelux (Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo) siglarono l’omonimo “accordo”, con il quale decisero di eliminare progressivamente i controlli alle frontiere interne e di introdurre la libertà di circolazione per tutti i cittadini degli Stati firmatari.
L’accordo fu successivamente completato da una “convenzione” – firmata dagli stessi cinque Paesi il 19 giugno 1990, all’indomani della caduta del Muro di Berlino, ed entrata in vigore nel 1995 – che, compiendo un ulteriore salto di qualità nella cooperazione intereuropea, definiva le condizioni e le garanzie inerenti all’istituzione di uno spazio di libera circolazione di persone, servizi, merci e capitali.
L’accordo e la convenzione, insieme ai relativi regolamenti attuativi, formano il cosiddetto “acquis di Schengen”, che è stato poi inglobato dal Trattato di Amsterdam del 1997 e nel 1999 è diventato legislazione dell’Unione europea.
Fortemente voluto dall’asse franco-tedesco, l’“acquis di Schengen” ha aperto la via ad un maggiore livello di integrazione all’interno dell’Unione, sebbene i limiti imposti dalla mancata unanimità tra gli Stati membri costrinsero a ridimensionare l’importanza iniziale dell’accordo. L’abolizione delle frontiere interne, seppure attuata in modo graduale, rappresentava infatti una sfida in termini di sicurezza nazionale; un passo decisivo in direzione della cooperazione comunitaria che, comportando di fatto un superamento del concetto tradizionale di “confine”, ha inaugurato uno spazio senza frontiere che costituisce un unicum nella realtà politica internazionale.
Oggi la cosiddetta “area Schengen” comprende 26 Paesi, di cui 22 membri dell’Unione europea e 4 (l’Islanda, la Norvegia, il Liechtenstein e la Svizzera) esterni all’Unione. All’interno di questo “spazio comune” i cittadini europei possono liberamente viaggiare, risiedere, spostarsi per motivi di studio, lavorare o fondare un’impresa, esibendo unicamente un valido documento di identità (la carta di identità o il passaporto) e beneficiando di tutti i diritti e le libertà fondamentali di cui godono i cittadini del Paese di arrivo.
Le regole di Schengen aboliscono, infatti, i controlli alle frontiere interne, mentre viene nel contempo armonizzata e rafforzata la protezione delle frontiere esterne, attraverso un sistema comune di visti di breve durata per i cittadini non-UE, che aiuta le forze di polizia e le autorità giudiziarie degli Stati aderenti a collaborare nel contrasto all’immigrazione irregolare e nella lotta al crimine organizzato.
A partire dall’estate del 2015, l’emergere di alcune questioni ha, tuttavia, messo seriamente a repentaglio il funzionamento dello “spazio Schengen”. L’aumento dei flussi migratori verso i Paesi dell’UE, che in quell’anno ha fatto registrare 1,83 milioni di attraversamenti illegali delle frontiere esterne dell’Unione, insieme ai timori crescenti riguardo alla possibilità di attività e attacchi terroristici, ha avuto rilevanti ricadute sul “sistema Schengen”, portando alla reintroduzione dei controlli alle frontiere da parte di diversi Stati membri.
È in questo quadro che, a integrazione delle forme già esistenti di cooperazione tra le istituzioni giudiziarie e le forze di polizia dei Paesi firmatari e di strumenti come l’Europol e l’Eurojust, si è assistito alla creazione di nuove agenzie internazionali, quali il Sistema di informazione Schengen, il Sistema di informazione visti e l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (meglio nota come Frontex), finalizzate a implementare le politiche di controllo delle frontiere dell’Unione e a predisporre un sistema integrato di sorveglianza sovranazionale.
Contrariamente a quanto disposto dall’art. 14 del “codice frontiere di Schengen”, a norma del quale «il respingimento può essere disposto solo con un provvedimento motivato che ne indichi le ragioni precise», un numero crescente di Stati aderenti all’accordo ha, inoltre, gradualmente intrapreso la costruzione di muri o barriere alle proprie frontiere, al fine di evitare che migranti e richiedenti asilo accedano in modo indiscriminato ai loro rispettivi territori nazionali. In assenza di esplicite norme dell’Unione sulla costruzione di recinzioni alle frontiere esterne di Schengen, gli Stati membri hanno altresì elevato barriere al confine con Paesi terzi e sono persino state costruite barriere all’interno dello stesso “spazio Schengen”, ad esempio lungo la frontiera tra Austria e Slovenia.
A nulla sono valsi gli appelli lanciati da alcuni eurodeputati sullo stato di «enorme pressione» cui è sottoposto il “sistema Schengen”. Come ha dichiarato nel maggio 2018 il portoghese Carlos Coelho, deputato del Partito popolare europeo, «i governi nazionali hanno fatto di Schengen il capro espiatorio dei fallimenti delle politiche di sicurezza e della debolezza del sistema europeo comune di asilo. Eppure Schengen non è il problema, ma la soluzione. […] Se Schengen muore, l’Europa dei cittadini che abbiamo oggi svanirà».
A ciò si sono sommati gli effetti della pandemia da Covid-19 che, nel corso del 2020, hanno spinto diversi Paesi dell’Unione a ripristinare i controlli alle frontiere interne e a introdurre significative restrizioni ai viaggi internazionali, nel tentativo di arginare la diffusione del virus. Misure, queste, che sono state ripetutamente criticate dal Parlamento europeo, che ha sottolineato con forza la necessità di un pieno ritorno allo «spirito di Schengen».
In una risoluzione approvata nel luglio del 2021, gli eurodeputati hanno, inoltre, promosso la creazione di un apposito Fondo per la gestione integrata delle frontiere (IBMF) che, operando in stretto contatto con il neoistituito Fondo sicurezza interna (ISF), dovrebbe contribuire a migliorare le capacità di gestione degli Stati membri in materia di sicurezza internazionale, tramite un’armonizzazione del sistema dei visti e una lotta più incisiva alle minacce transfrontaliere come il terrorismo, la criminalità organizzata e la criminalità informatica, garantendo nel contempo il rispetto dei diritti fondamentali e la protezione delle persone vulnerabili che arrivano in Europa, con particolare riguardo ai minori non accompagnati.